LA PASTA CANDIDATA UNESCO

cultura da proteggere

19/05/25

LA PASTA CANDIDATA UNESCO

cultura da proteggere

19/05/25

LA PASTA CANDIDATA UNESCO

cultura da proteggere

19/05/25

In Italia, la pasta è un gesto familiare e quotidiano, un linguaggio condiviso, una tradizione che solca secoli e territori. Ed è proprio per questo che, nel 2023, è iniziato l’iter per candidare la cultura italiana della pasta secca a patrimonio culturale immateriale dell’umanità UNESCO.

L’UNESCO non premia solo monumenti grandi e siti archeologici. Con la Convenzione del 2003 ha riconosciuto anche l’importanza della cultura immateriale: pratiche, saperi, mestieri, tradizioni che fanno parte dell’identità di un popolo. In questo senso, la pasta è un esempio perfetto. Non è solo il prodotto finale, ma tutto ciò che lo circonda: la produzione artigianale, le ricette regionali, i gesti tramandati in famiglia, la dolce ritualità del “fare la pasta”.

Ogni formato di pasta racconta un pezzo d’Italia: dalle trofie attorcigliate ai fusilli lucani lavorati a mano, dalle busiate siciliane ritorte su un ramo di ferro, fino alle tagliatelle emiliane tirate con il mattarello. Dietro ogni pasta, c’è una comunità, un territorio, una memoria. La sua preparazione casalinga — ancora viva in molte famiglie — unisce generazioni e territori, contribuendo a rafforzare il senso di appartenenza.

Quello che rende la pasta un bene così prezioso è anche la sua capacità di adattarsi. Oggi è grande protagonista di innovazioni: farine alternative, versioni gluten free, produzione sostenibile. Eppure, questa resta fedele alla sua identità. La pasta cambia, ma non si snatura. Ed è proprio questa conciliazione, tra tradizione e futuro, a renderla degna di tutela.

La candidatura all’UNESCO, va da sé, non serve solo a celebrare l’eccellenza italiana; serve soprattutto a proteggere un patrimonio fragile, minacciato dalla standardizzazione industriale, dalla triste omologazione globale e dalla continua perdita di saperi e professioni artigianali. Riconoscerne il valore significa, investire nella trasmissione delle conoscenze sapienti, nella rivalutazione delle piccole produzioni locali, nell’istruzione delle nuove generazioni.

La pasta è amata ovunque, si sa, ma ha una radice culturale ben precisa. Riconoscerla come patrimonio dell’umanità non significa relegarla come “proprietà esclusiva dell’Italia”, ma esaltare un modello culturale di convivialità, creatività e resilienza che può ispirare il mondo intero.

Qualora la candidatura venisse accolta, sarà un traguardo non solo per l’Italia, ma per chiunque veda nel cibo non solo nutrimento, ma memoria, cultura e futuro.

In Italia, la pasta è un gesto familiare e quotidiano, un linguaggio condiviso, una tradizione che solca secoli e territori. Ed è proprio per questo che, nel 2023, è iniziato l’iter per candidare la cultura italiana della pasta secca a patrimonio culturale immateriale dell’umanità UNESCO.

L’UNESCO non premia solo monumenti grandi e siti archeologici. Con la Convenzione del 2003 ha riconosciuto anche l’importanza della cultura immateriale: pratiche, saperi, mestieri, tradizioni che fanno parte dell’identità di un popolo. In questo senso, la pasta è un esempio perfetto. Non è solo il prodotto finale, ma tutto ciò che lo circonda: la produzione artigianale, le ricette regionali, i gesti tramandati in famiglia, la dolce ritualità del “fare la pasta”.

Ogni formato di pasta racconta un pezzo d’Italia: dalle trofie attorcigliate ai fusilli lucani lavorati a mano, dalle busiate siciliane ritorte su un ramo di ferro, fino alle tagliatelle emiliane tirate con il mattarello. Dietro ogni pasta, c’è una comunità, un territorio, una memoria. La sua preparazione casalinga — ancora viva in molte famiglie — unisce generazioni e territori, contribuendo a rafforzare il senso di appartenenza.

Quello che rende la pasta un bene così prezioso è anche la sua capacità di adattarsi. Oggi è grande protagonista di innovazioni: farine alternative, versioni gluten free, produzione sostenibile. Eppure, questa resta fedele alla sua identità. La pasta cambia, ma non si snatura. Ed è proprio questa conciliazione, tra tradizione e futuro, a renderla degna di tutela.

La candidatura all’UNESCO, va da sé, non serve solo a celebrare l’eccellenza italiana; serve soprattutto a proteggere un patrimonio fragile, minacciato dalla standardizzazione industriale, dalla triste omologazione globale e dalla continua perdita di saperi e professioni artigianali. Riconoscerne il valore significa, investire nella trasmissione delle conoscenze sapienti, nella rivalutazione delle piccole produzioni locali, nell’istruzione delle nuove generazioni.

La pasta è amata ovunque, si sa, ma ha una radice culturale ben precisa. Riconoscerla come patrimonio dell’umanità non significa relegarla come “proprietà esclusiva dell’Italia”, ma esaltare un modello culturale di convivialità, creatività e resilienza che può ispirare il mondo intero.

Qualora la candidatura venisse accolta, sarà un traguardo non solo per l’Italia, ma per chiunque veda nel cibo non solo nutrimento, ma memoria, cultura e futuro.

In Italia, la pasta è un gesto familiare e quotidiano, un linguaggio condiviso, una tradizione che solca secoli e territori. Ed è proprio per questo che, nel 2023, è iniziato l’iter per candidare la cultura italiana della pasta secca a patrimonio culturale immateriale dell’umanità UNESCO.

L’UNESCO non premia solo monumenti grandi e siti archeologici. Con la Convenzione del 2003 ha riconosciuto anche l’importanza della cultura immateriale: pratiche, saperi, mestieri, tradizioni che fanno parte dell’identità di un popolo. In questo senso, la pasta è un esempio perfetto. Non è solo il prodotto finale, ma tutto ciò che lo circonda: la produzione artigianale, le ricette regionali, i gesti tramandati in famiglia, la dolce ritualità del “fare la pasta”.

Ogni formato di pasta racconta un pezzo d’Italia: dalle trofie attorcigliate ai fusilli lucani lavorati a mano, dalle busiate siciliane ritorte su un ramo di ferro, fino alle tagliatelle emiliane tirate con il mattarello. Dietro ogni pasta, c’è una comunità, un territorio, una memoria. La sua preparazione casalinga — ancora viva in molte famiglie — unisce generazioni e territori, contribuendo a rafforzare il senso di appartenenza.

Quello che rende la pasta un bene così prezioso è anche la sua capacità di adattarsi. Oggi è grande protagonista di innovazioni: farine alternative, versioni gluten free, produzione sostenibile. Eppure, questa resta fedele alla sua identità. La pasta cambia, ma non si snatura. Ed è proprio questa conciliazione, tra tradizione e futuro, a renderla degna di tutela.

La candidatura all’UNESCO, va da sé, non serve solo a celebrare l’eccellenza italiana; serve soprattutto a proteggere un patrimonio fragile, minacciato dalla standardizzazione industriale, dalla triste omologazione globale e dalla continua perdita di saperi e professioni artigianali. Riconoscerne il valore significa, investire nella trasmissione delle conoscenze sapienti, nella rivalutazione delle piccole produzioni locali, nell’istruzione delle nuove generazioni.

La pasta è amata ovunque, si sa, ma ha una radice culturale ben precisa. Riconoscerla come patrimonio dell’umanità non significa relegarla come “proprietà esclusiva dell’Italia”, ma esaltare un modello culturale di convivialità, creatività e resilienza che può ispirare il mondo intero.

Qualora la candidatura venisse accolta, sarà un traguardo non solo per l’Italia, ma per chiunque veda nel cibo non solo nutrimento, ma memoria, cultura e futuro.