


CURRICULUM VITAE
Nato a Chiusi, nel cuore della Toscana, il 20 aprile 1991, Alessandro Rossi incarna la nuova generazione di chef capaci di fondere un profondo rispetto per le proprie radici con una visione culinaria audace e contemporanea. La sua vocazione, nata all'età di otto anni osservando la nonna ai fornelli, è il fil rouge che lega una carriera folgorante a un'autentica passione per la materia prima, trasformandolo in una figura chiave del panorama gastronomico italiano.
La sua formazione inizia presso il prestigioso istituto alberghiero "Pellegrino Artusi" di Chianciano Terme. Da lì, muove i primi passi nel mondo professionale al ristorante Zafferano di Città della Pieve, per poi intraprendere un percorso di apprendistato strategico attraverso alcune delle più importanti cucine d'Italia. Assorbe tecniche e filosofie da maestri come Stefano Ciavatti, prosegue la sua crescita con Alessandro Dal Degan presso il ristorante stellato La Tana Gourmet ad Asiago e collabora con Filippo Saporito. Questo intenso periodo di formazione culmina con un ruolo di grande responsabilità: come executive chef de La Leggenda dei Frati, prima a San Giovanni d’Asso e poi a Villa Bardini a Firenze, conquista nel 2016, a soli 25 anni, la sua prima Stella Michelin. Successivamente, un'esperienza a Villa Selvatico, in Veneto, consolida la sua abilità nell'interpretare con sensibilità e rigore anche un terroir non suo.
Tuttavia, il richiamo della sua terra si rivela irresistibile. Nel giugno 2020, il suo approdo come executive chef al ristorante Gabbiano 3.0 di Marina di Grosseto segna un ritorno alle origini, ma con un bagaglio di esperienze che gli permette di elevare la cucina locale a nuovi vertici. In perfetta simbiosi con l'ambizioso progetto dei proprietari, i cugini Tomi, Rossi imprime la sua firma in modo indelebile: in appena sei mesi, conquista la Stella Michelin per il locale, un traguardo che ne conferma il talento cristallino.
La filosofia di Rossi si fonda su una dualità essenziale: il dialogo costante tra il mare Tirreno, che si stende di fronte al ristorante, e l'entroterra più verace della Maremma alle sue spalle. Questa sintesi si esprime in piatti che uniscono con maestria pescato locale, carni d'eccellenza e, soprattutto, un regno vegetale di straordinaria ricchezza. Soprannominato "il signore delle erbe", lo chef attinge a un esclusivo orto-foresta biodinamico che funge da laboratorio creativo, con centinaia di varietà di erbe aromatiche e ortaggi rari che definiscono la sua firma stilistica.
La sua non è una cucina tradizionalista, ma un "territorio evoluto": i classici toscani vengono reinterpretati con tecniche contemporanee e contaminate da influenze globali, dall'Asia alla Francia, senza mai perdere di vista l'equilibrio e l'identità del gusto. Alessandro Rossi si profila così come un alchimista, capace di trasformare i frutti della sua terra in un'esperienza culinaria complessa, elegante e profondamente radicata nel luogo.
dialoghi
Che importanza dà al momento in cui il piatto di pasta arriva al tavolo e all’interazione che si crea tra la sua creazione e l’ospite? Cosa spera che il cliente percepisca o comprenda?
Il servizio del piatto di pasta è considerato un momento comunicativo, in cui si porta in sala il senso delle scelte compiute in cucina attraverso ingredienti, tecniche e memoria territoriale. Lo scopo è che l’ospite riconosca immediatamente la matrice italiana della preparazione e, allo stesso tempo, percepisca l’equilibrio degli ingredienti. Quando succede, il nostro obiettivo è raggiunto.
Quanto è rigorosa la sua attenzione alla temperatura ideale di servizio per i piatti di pasta e quali procedure adotta per garantirla costantemente?
La temperatura è trattata con rigore e un esempio emblematico sono Pici in verde, conchigliacei e basilici. La pasta viene mantecata a freddo e posizionata all’interno di un piatto caldo a cui si aggiunge del brodo, così da creare una stratificazione sensoriale. Per garantire un servizio rapido ed efficace, la sincronizzazione tra cucina e sala è fondamentale. Procedure standard come l'uso di lampade e il riscaldamento dei piatti prima dell'impiattamento, assicurano che ogni portata mantenga la temperatura ideale.
Quando rivisita un classico intramontabile della pasta regionale italiana, come bilancia l'impulso all'innovazione con il rispetto per la ricetta originale e l'aspettativa del cliente?
La regola è preservare la riconoscibilità. Si parte sempre dagli elementi fondanti, formato, consistenza, funzione del condimento, e su questa base si interviene con rispetto. Ingredienti locali in sostituzione, tecniche moderne o piccoli scarti di interpretazione che mantengano però il codice sensoriale del piatto. L’idea è che il cliente trovi ciò che ha ordinato e, contemporaneamente, scopra una prospettiva nuova che rimandi comunque all’origine del piatto.
Come risponde alle richieste di opzioni dietetiche (es. senza glutine, vegane) nel suo menu di pasta, garantendo che queste proposte mantengano lo stesso elevato standard di eccellenza?
L’approccio è pragmatico e tecnico. Per celiaci e intolleranti si sviluppano impasti alternativi, attraverso la sperimentazione e la ricerca di farine senza glutine, con l’obiettivo di pareggiare qualità e tenuta di cottura del menu tradizionale. Le richieste vegane vengono gestite su prenotazione, predisponendo un percorso ad hoc di cinque portate che rispetti gli stessi criteri di bilanciamento e piacere gustativo del menu tradizionale. L’intento è offrire alternative coerenti, non compromessi.
Come interpreta e nobilita l'idea di "comfort food" associata alla pasta all'interno di un ambiente di alta cucina?
Il principio guida è la riconoscibilità con valore aggiunto. Trasformare il comfort in un racconto tecnico-sensoriale che rassicura ma, allo stesso tempo, sorprenda. Il risultato ricercato è un piatto che “metta a proprio agio” l’ospite, perché familiare, e al tempo stesso lo coinvolga con dettagli di cottura, concentrazioni e contrasti di consistenza che ne elevano l’esperienza. Vogliamo che si ritrovi l’essenza del piatto, pur attraverso una veste nuova e inattesa.
Qual è il criterio o l'intento dietro la denominazione dei suoi piatti di pasta in menu? Quanto conta il nome nel definire l'aspettativa o arricchire la percezione del cliente?
Il nome è parte del racconto, anticipa e indirizza l’attenzione, crea aspettativa. I titoli conservano riferimenti classici per orientare l’ospite e sono uno strumento narrativo che prepara all’esperienza sensoriale senza sovraccaricarla di spiegazioni ridondanti.
Quale contributo o "eredità" spera di lasciare nel mondo dell'alta cucina attraverso il suo lavoro sulla pasta?
Cerchiamo di creare un'identità culinaria forte e riconoscibile. La nostra ricerca non è una sperimentazione fine a sé stessa, ma un percorso per trovare il perfetto equilibrio tra reinterpretazione e sapore, creando così ricette che diventino il simbolo della nostra identità e della nostra cucina. Puntiamo a un riconoscimento nazionale e internazionale attraverso piatti distintivi, capaci di entrare nella memoria culinaria del locale. A questo scopo, dedichiamo grande attenzione alle materie prime, in particolare a quelle provenienti dal nostro orto-foresta.
Quali strumenti o attrezzi, sia tradizionali che moderni, considera indispensabili per ottenere l'eccellenza nella lavorazione della pasta nel suo laboratorio?
La componente manuale è centrale, mani esperte per tirare pici o chiudere tortellini fanno la differenza. Oltre alla manualità, strumenti tradizionali e una dotazione tecnica calibrata, trafile e attrezzature per estrusione o formatura della pasta fresca, utensili per dosaggio, garantiscono qualità su spessore, porosità e anche la tenuta di cottura. La tecnica umana resta, però, il valore aggiunto imprescindibile.
Che ruolo ha la qualità dell'acqua nel risultato finale della cottura della pasta e come la gestisce per ottimizzare la resa?
Per alcuni primi a base di pesce, usiamo l’acqua filtrata di mare mantenendo il trenta per cento di salinità, così da modulare la sapidità di base e ottimizzare l’equilibrio complessivo del piatto.
Senza svelare i dettagli, c'è un suo piatto di pasta che reputa particolarmente rappresentativo del suo stile e della sua filosofia culinaria?
Tortellino panna e prosciutto è la perfetta espressione della nostra filosofia in cucina. Il piatto reinterpreta un classico della tradizione italiana, arricchendolo con ingredienti di alta qualità, a partire dalla panna di bufala prodotta a pochi chilometri dal ristorante. Il ripieno, invece, è tonno dell'Isola d'Elba lavorato con le stesse tecniche tradizionali del prosciutto toscano. La dimostrazione concreta di come sia possibile far incontrare la tradizione con la contemporaneità, senza mai tradire le proprie radici.
CURRICULUM VITAE
Nato a Chiusi, nel cuore della Toscana, il 20 aprile 1991, Alessandro Rossi incarna la nuova generazione di chef capaci di fondere un profondo rispetto per le proprie radici con una visione culinaria audace e contemporanea. La sua vocazione, nata all'età di otto anni osservando la nonna ai fornelli, è il fil rouge che lega una carriera folgorante a un'autentica passione per la materia prima, trasformandolo in una figura chiave del panorama gastronomico italiano.
La sua formazione inizia presso il prestigioso istituto alberghiero "Pellegrino Artusi" di Chianciano Terme. Da lì, muove i primi passi nel mondo professionale al ristorante Zafferano di Città della Pieve, per poi intraprendere un percorso di apprendistato strategico attraverso alcune delle più importanti cucine d'Italia. Assorbe tecniche e filosofie da maestri come Stefano Ciavatti, prosegue la sua crescita con Alessandro Dal Degan presso il ristorante stellato La Tana Gourmet ad Asiago e collabora con Filippo Saporito. Questo intenso periodo di formazione culmina con un ruolo di grande responsabilità: come executive chef de La Leggenda dei Frati, prima a San Giovanni d’Asso e poi a Villa Bardini a Firenze, conquista nel 2016, a soli 25 anni, la sua prima Stella Michelin. Successivamente, un'esperienza a Villa Selvatico, in Veneto, consolida la sua abilità nell'interpretare con sensibilità e rigore anche un terroir non suo.
Tuttavia, il richiamo della sua terra si rivela irresistibile. Nel giugno 2020, il suo approdo come executive chef al ristorante Gabbiano 3.0 di Marina di Grosseto segna un ritorno alle origini, ma con un bagaglio di esperienze che gli permette di elevare la cucina locale a nuovi vertici. In perfetta simbiosi con l'ambizioso progetto dei proprietari, i cugini Tomi, Rossi imprime la sua firma in modo indelebile: in appena sei mesi, conquista la Stella Michelin per il locale, un traguardo che ne conferma il talento cristallino.
La filosofia di Rossi si fonda su una dualità essenziale: il dialogo costante tra il mare Tirreno, che si stende di fronte al ristorante, e l'entroterra più verace della Maremma alle sue spalle. Questa sintesi si esprime in piatti che uniscono con maestria pescato locale, carni d'eccellenza e, soprattutto, un regno vegetale di straordinaria ricchezza. Soprannominato "il signore delle erbe", lo chef attinge a un esclusivo orto-foresta biodinamico che funge da laboratorio creativo, con centinaia di varietà di erbe aromatiche e ortaggi rari che definiscono la sua firma stilistica.
La sua non è una cucina tradizionalista, ma un "territorio evoluto": i classici toscani vengono reinterpretati con tecniche contemporanee e contaminate da influenze globali, dall'Asia alla Francia, senza mai perdere di vista l'equilibrio e l'identità del gusto. Alessandro Rossi si profila così come un alchimista, capace di trasformare i frutti della sua terra in un'esperienza culinaria complessa, elegante e profondamente radicata nel luogo.
dialoghi
Che importanza dà al momento in cui il piatto di pasta arriva al tavolo e all’interazione che si crea tra la sua creazione e l’ospite? Cosa spera che il cliente percepisca o comprenda?
Il servizio del piatto di pasta è considerato un momento comunicativo, in cui si porta in sala il senso delle scelte compiute in cucina attraverso ingredienti, tecniche e memoria territoriale. Lo scopo è che l’ospite riconosca immediatamente la matrice italiana della preparazione e, allo stesso tempo, percepisca l’equilibrio degli ingredienti. Quando succede, il nostro obiettivo è raggiunto.
Quanto è rigorosa la sua attenzione alla temperatura ideale di servizio per i piatti di pasta e quali procedure adotta per garantirla costantemente?
La temperatura è trattata con rigore e un esempio emblematico sono Pici in verde, conchigliacei e basilici. La pasta viene mantecata a freddo e posizionata all’interno di un piatto caldo a cui si aggiunge del brodo, così da creare una stratificazione sensoriale. Per garantire un servizio rapido ed efficace, la sincronizzazione tra cucina e sala è fondamentale. Procedure standard come l'uso di lampade e il riscaldamento dei piatti prima dell'impiattamento, assicurano che ogni portata mantenga la temperatura ideale.
Quando rivisita un classico intramontabile della pasta regionale italiana, come bilancia l'impulso all'innovazione con il rispetto per la ricetta originale e l'aspettativa del cliente?
La regola è preservare la riconoscibilità. Si parte sempre dagli elementi fondanti, formato, consistenza, funzione del condimento, e su questa base si interviene con rispetto. Ingredienti locali in sostituzione, tecniche moderne o piccoli scarti di interpretazione che mantengano però il codice sensoriale del piatto. L’idea è che il cliente trovi ciò che ha ordinato e, contemporaneamente, scopra una prospettiva nuova che rimandi comunque all’origine del piatto.
Come risponde alle richieste di opzioni dietetiche (es. senza glutine, vegane) nel suo menu di pasta, garantendo che queste proposte mantengano lo stesso elevato standard di eccellenza?
L’approccio è pragmatico e tecnico. Per celiaci e intolleranti si sviluppano impasti alternativi, attraverso la sperimentazione e la ricerca di farine senza glutine, con l’obiettivo di pareggiare qualità e tenuta di cottura del menu tradizionale. Le richieste vegane vengono gestite su prenotazione, predisponendo un percorso ad hoc di cinque portate che rispetti gli stessi criteri di bilanciamento e piacere gustativo del menu tradizionale. L’intento è offrire alternative coerenti, non compromessi.
Come interpreta e nobilita l'idea di "comfort food" associata alla pasta all'interno di un ambiente di alta cucina?
Il principio guida è la riconoscibilità con valore aggiunto. Trasformare il comfort in un racconto tecnico-sensoriale che rassicura ma, allo stesso tempo, sorprenda. Il risultato ricercato è un piatto che “metta a proprio agio” l’ospite, perché familiare, e al tempo stesso lo coinvolga con dettagli di cottura, concentrazioni e contrasti di consistenza che ne elevano l’esperienza. Vogliamo che si ritrovi l’essenza del piatto, pur attraverso una veste nuova e inattesa.
Qual è il criterio o l'intento dietro la denominazione dei suoi piatti di pasta in menu? Quanto conta il nome nel definire l'aspettativa o arricchire la percezione del cliente?
Il nome è parte del racconto, anticipa e indirizza l’attenzione, crea aspettativa. I titoli conservano riferimenti classici per orientare l’ospite e sono uno strumento narrativo che prepara all’esperienza sensoriale senza sovraccaricarla di spiegazioni ridondanti.
Quale contributo o "eredità" spera di lasciare nel mondo dell'alta cucina attraverso il suo lavoro sulla pasta?
Cerchiamo di creare un'identità culinaria forte e riconoscibile. La nostra ricerca non è una sperimentazione fine a sé stessa, ma un percorso per trovare il perfetto equilibrio tra reinterpretazione e sapore, creando così ricette che diventino il simbolo della nostra identità e della nostra cucina. Puntiamo a un riconoscimento nazionale e internazionale attraverso piatti distintivi, capaci di entrare nella memoria culinaria del locale. A questo scopo, dedichiamo grande attenzione alle materie prime, in particolare a quelle provenienti dal nostro orto-foresta.
Quali strumenti o attrezzi, sia tradizionali che moderni, considera indispensabili per ottenere l'eccellenza nella lavorazione della pasta nel suo laboratorio?
La componente manuale è centrale, mani esperte per tirare pici o chiudere tortellini fanno la differenza. Oltre alla manualità, strumenti tradizionali e una dotazione tecnica calibrata, trafile e attrezzature per estrusione o formatura della pasta fresca, utensili per dosaggio, garantiscono qualità su spessore, porosità e anche la tenuta di cottura. La tecnica umana resta, però, il valore aggiunto imprescindibile.
Che ruolo ha la qualità dell'acqua nel risultato finale della cottura della pasta e come la gestisce per ottimizzare la resa?
Per alcuni primi a base di pesce, usiamo l’acqua filtrata di mare mantenendo il trenta per cento di salinità, così da modulare la sapidità di base e ottimizzare l’equilibrio complessivo del piatto.
Senza svelare i dettagli, c'è un suo piatto di pasta che reputa particolarmente rappresentativo del suo stile e della sua filosofia culinaria?
Tortellino panna e prosciutto è la perfetta espressione della nostra filosofia in cucina. Il piatto reinterpreta un classico della tradizione italiana, arricchendolo con ingredienti di alta qualità, a partire dalla panna di bufala prodotta a pochi chilometri dal ristorante. Il ripieno, invece, è tonno dell'Isola d'Elba lavorato con le stesse tecniche tradizionali del prosciutto toscano. La dimostrazione concreta di come sia possibile far incontrare la tradizione con la contemporaneità, senza mai tradire le proprie radici.
CURRICULUM VITAE
Nato a Chiusi, nel cuore della Toscana, il 20 aprile 1991, Alessandro Rossi incarna la nuova generazione di chef capaci di fondere un profondo rispetto per le proprie radici con una visione culinaria audace e contemporanea. La sua vocazione, nata all'età di otto anni osservando la nonna ai fornelli, è il fil rouge che lega una carriera folgorante a un'autentica passione per la materia prima, trasformandolo in una figura chiave del panorama gastronomico italiano.
La sua formazione inizia presso il prestigioso istituto alberghiero "Pellegrino Artusi" di Chianciano Terme. Da lì, muove i primi passi nel mondo professionale al ristorante Zafferano di Città della Pieve, per poi intraprendere un percorso di apprendistato strategico attraverso alcune delle più importanti cucine d'Italia. Assorbe tecniche e filosofie da maestri come Stefano Ciavatti, prosegue la sua crescita con Alessandro Dal Degan presso il ristorante stellato La Tana Gourmet ad Asiago e collabora con Filippo Saporito. Questo intenso periodo di formazione culmina con un ruolo di grande responsabilità: come executive chef de La Leggenda dei Frati, prima a San Giovanni d’Asso e poi a Villa Bardini a Firenze, conquista nel 2016, a soli 25 anni, la sua prima Stella Michelin. Successivamente, un'esperienza a Villa Selvatico, in Veneto, consolida la sua abilità nell'interpretare con sensibilità e rigore anche un terroir non suo.
Tuttavia, il richiamo della sua terra si rivela irresistibile. Nel giugno 2020, il suo approdo come executive chef al ristorante Gabbiano 3.0 di Marina di Grosseto segna un ritorno alle origini, ma con un bagaglio di esperienze che gli permette di elevare la cucina locale a nuovi vertici. In perfetta simbiosi con l'ambizioso progetto dei proprietari, i cugini Tomi, Rossi imprime la sua firma in modo indelebile: in appena sei mesi, conquista la Stella Michelin per il locale, un traguardo che ne conferma il talento cristallino.
La filosofia di Rossi si fonda su una dualità essenziale: il dialogo costante tra il mare Tirreno, che si stende di fronte al ristorante, e l'entroterra più verace della Maremma alle sue spalle. Questa sintesi si esprime in piatti che uniscono con maestria pescato locale, carni d'eccellenza e, soprattutto, un regno vegetale di straordinaria ricchezza. Soprannominato "il signore delle erbe", lo chef attinge a un esclusivo orto-foresta biodinamico che funge da laboratorio creativo, con centinaia di varietà di erbe aromatiche e ortaggi rari che definiscono la sua firma stilistica.
La sua non è una cucina tradizionalista, ma un "territorio evoluto": i classici toscani vengono reinterpretati con tecniche contemporanee e contaminate da influenze globali, dall'Asia alla Francia, senza mai perdere di vista l'equilibrio e l'identità del gusto. Alessandro Rossi si profila così come un alchimista, capace di trasformare i frutti della sua terra in un'esperienza culinaria complessa, elegante e profondamente radicata nel luogo.
dialoghi
Che importanza dà al momento in cui il piatto di pasta arriva al tavolo e all’interazione che si crea tra la sua creazione e l’ospite? Cosa spera che il cliente percepisca o comprenda?
Il servizio del piatto di pasta è considerato un momento comunicativo, in cui si porta in sala il senso delle scelte compiute in cucina attraverso ingredienti, tecniche e memoria territoriale. Lo scopo è che l’ospite riconosca immediatamente la matrice italiana della preparazione e, allo stesso tempo, percepisca l’equilibrio degli ingredienti. Quando succede, il nostro obiettivo è raggiunto.
Quanto è rigorosa la sua attenzione alla temperatura ideale di servizio per i piatti di pasta e quali procedure adotta per garantirla costantemente?
La temperatura è trattata con rigore e un esempio emblematico sono Pici in verde, conchigliacei e basilici. La pasta viene mantecata a freddo e posizionata all’interno di un piatto caldo a cui si aggiunge del brodo, così da creare una stratificazione sensoriale. Per garantire un servizio rapido ed efficace, la sincronizzazione tra cucina e sala è fondamentale. Procedure standard come l'uso di lampade e il riscaldamento dei piatti prima dell'impiattamento, assicurano che ogni portata mantenga la temperatura ideale.
Quando rivisita un classico intramontabile della pasta regionale italiana, come bilancia l'impulso all'innovazione con il rispetto per la ricetta originale e l'aspettativa del cliente?
La regola è preservare la riconoscibilità. Si parte sempre dagli elementi fondanti, formato, consistenza, funzione del condimento, e su questa base si interviene con rispetto. Ingredienti locali in sostituzione, tecniche moderne o piccoli scarti di interpretazione che mantengano però il codice sensoriale del piatto. L’idea è che il cliente trovi ciò che ha ordinato e, contemporaneamente, scopra una prospettiva nuova che rimandi comunque all’origine del piatto.
Come risponde alle richieste di opzioni dietetiche (es. senza glutine, vegane) nel suo menu di pasta, garantendo che queste proposte mantengano lo stesso elevato standard di eccellenza?
L’approccio è pragmatico e tecnico. Per celiaci e intolleranti si sviluppano impasti alternativi, attraverso la sperimentazione e la ricerca di farine senza glutine, con l’obiettivo di pareggiare qualità e tenuta di cottura del menu tradizionale. Le richieste vegane vengono gestite su prenotazione, predisponendo un percorso ad hoc di cinque portate che rispetti gli stessi criteri di bilanciamento e piacere gustativo del menu tradizionale. L’intento è offrire alternative coerenti, non compromessi.
Come interpreta e nobilita l'idea di "comfort food" associata alla pasta all'interno di un ambiente di alta cucina?
Il principio guida è la riconoscibilità con valore aggiunto. Trasformare il comfort in un racconto tecnico-sensoriale che rassicura ma, allo stesso tempo, sorprenda. Il risultato ricercato è un piatto che “metta a proprio agio” l’ospite, perché familiare, e al tempo stesso lo coinvolga con dettagli di cottura, concentrazioni e contrasti di consistenza che ne elevano l’esperienza. Vogliamo che si ritrovi l’essenza del piatto, pur attraverso una veste nuova e inattesa.
Qual è il criterio o l'intento dietro la denominazione dei suoi piatti di pasta in menu? Quanto conta il nome nel definire l'aspettativa o arricchire la percezione del cliente?
Il nome è parte del racconto, anticipa e indirizza l’attenzione, crea aspettativa. I titoli conservano riferimenti classici per orientare l’ospite e sono uno strumento narrativo che prepara all’esperienza sensoriale senza sovraccaricarla di spiegazioni ridondanti.
Quale contributo o "eredità" spera di lasciare nel mondo dell'alta cucina attraverso il suo lavoro sulla pasta?
Cerchiamo di creare un'identità culinaria forte e riconoscibile. La nostra ricerca non è una sperimentazione fine a sé stessa, ma un percorso per trovare il perfetto equilibrio tra reinterpretazione e sapore, creando così ricette che diventino il simbolo della nostra identità e della nostra cucina. Puntiamo a un riconoscimento nazionale e internazionale attraverso piatti distintivi, capaci di entrare nella memoria culinaria del locale. A questo scopo, dedichiamo grande attenzione alle materie prime, in particolare a quelle provenienti dal nostro orto-foresta.
Quali strumenti o attrezzi, sia tradizionali che moderni, considera indispensabili per ottenere l'eccellenza nella lavorazione della pasta nel suo laboratorio?
La componente manuale è centrale, mani esperte per tirare pici o chiudere tortellini fanno la differenza. Oltre alla manualità, strumenti tradizionali e una dotazione tecnica calibrata, trafile e attrezzature per estrusione o formatura della pasta fresca, utensili per dosaggio, garantiscono qualità su spessore, porosità e anche la tenuta di cottura. La tecnica umana resta, però, il valore aggiunto imprescindibile.
Che ruolo ha la qualità dell'acqua nel risultato finale della cottura della pasta e come la gestisce per ottimizzare la resa?
Per alcuni primi a base di pesce, usiamo l’acqua filtrata di mare mantenendo il trenta per cento di salinità, così da modulare la sapidità di base e ottimizzare l’equilibrio complessivo del piatto.
Senza svelare i dettagli, c'è un suo piatto di pasta che reputa particolarmente rappresentativo del suo stile e della sua filosofia culinaria?
Tortellino panna e prosciutto è la perfetta espressione della nostra filosofia in cucina. Il piatto reinterpreta un classico della tradizione italiana, arricchendolo con ingredienti di alta qualità, a partire dalla panna di bufala prodotta a pochi chilometri dal ristorante. Il ripieno, invece, è tonno dell'Isola d'Elba lavorato con le stesse tecniche tradizionali del prosciutto toscano. La dimostrazione concreta di come sia possibile far incontrare la tradizione con la contemporaneità, senza mai tradire le proprie radici.