ANTONIO GUIDA

memoria mediterranea, rigore francese

1972

Tricase

raffinata sottrazione

ANTONIO GUIDA

memoria mediterranea, rigore francese

1972

Tricase

raffinata sottrazione

ANTONIO GUIDA

memoria mediterranea, rigore francese

1972

Tricase

raffinata sottrazione

CURRICULUM VITAE

Antonio Guida nasce a Tricase, nel Salento (1972), dove la luce non perdona e il mare insegna la disciplina del sale: basta poco per sbilanciare tutto. Forse è da lì che viene la sua cifra più riconoscibile — una cucina che non cerca l’effetto, ma l’esattezza; che non alza la voce, e proprio per questo resta addosso.

Il mestiere lo impara per gradi e per attraversamenti. Inizia nel 1998 come ‘commis’, poi costruisce la propria grammatica tra Italia ed Europa, mettendo in dialogo l’ordine francese e la memoria mediterranea. Nel suo percorso compaiono cucine-icona come quella di Pierre Gagnaire a Parigi, Enoteca Pinchiorri a Firenze e Don Alfonso a Sant’Agata: tappe diverse, un’unica lezione costante — la tecnica vale solo se sa farsi invisibile.

Nel 2000 approda a Roma, a La Terrazza – Hotel Eden, dove cresce fino alla guida della cucina; nel 2002 arriva la svolta a Porto Ercole, a Il Pellicano: qui la sua mano matura e viene riconosciuta dalla Michelin con due stelle (2004 e 2010), come una conferma non di stile, ma di continuità.

Dal novembre 2014 è Executive Chef del Mandarin Oriental, Milan. Da Seta, in pochi mesi, definisce un’identità netta: prima stella nel 2015, seconda nel 2016. La sua è un’alta cucina italiana contemporanea che lavora per sottrazione: stagionalità rigorosa, sapori messi a fuoco, accostamenti che paiono semplici solo dopo che qualcuno ha fatto, in silenzio, tutti i conti. E infatti, nel piatto di Guida, la tecnica non chiede applausi: si ritira. Resta una linea pulita, un equilibrio sorvegliato, una limpidezza che non è fredda ma necessaria — come una frase ben scritta, in cui nulla manca e nulla avanza.

dialoghi

  • Ricordando le grandi tavolate domenicali, in cui Sua madre preparava la pasta per tutti, come traduce oggi quel senso di "festa" familiare nella disciplina di una brigata stellata? La sua filosofia di squadra si ispira a quel modello?

  • La mia filosofia di squadra si è sviluppata in due momenti distinti della mia vita professionale.  Inizialmente – parlo di oltre vent'anni fa – avevo un approccio quasi 'militare', dovuto in gran parte alla mia formazione francese, dove i ranghi sono ben definiti. Nel tempo, ho acquisito una maggiore sicurezza nel guidare una brigata e oggi preferisco che nella mia squadra ci sia un ambiente disciplinato e, soprattutto, improntato alla serenità e alla coesione del team.

  • La sua carriera è iniziata in pasticceria, un mondo di rigore scientifico. Questo Suo primo amore per la precisione le conferisce un approccio più tecnico all'impasto della pasta, distinguendola dalla gestualità della tradizione?

  • Sicuramente sì. Le mie prime esperienze in pasticceria mi hanno aiutato a comprendere sempre meglio l’importanza della tecnica in cucina. La creatività, infatti, deve essere sempre supportata da una tecnica solida, e mi è capitato spesso di trasferire nella mia cucina alcuni metodi studiati e affinati in pasticceria.

  • Lei ha definito l'esperienza da Pierre Gagnaire “un terremoto" che le ha insegnato a osare. Come ha applicato quella lezione di audacia a un ingrediente così codificato e tradizionale come la pasta italiana?

  • L’esperienza vissuta con Pierre Gagnaire mi ha permesso di uscire dagli schemi, di non aver paura di osare. Questo mi è servito per creare degli abbinamenti insoliti anche nei primi piatti di pasta, come i Bottoni farciti con cassoeula, ostrica e verza.

  • Nei Suoi piatti di pasta convivono influenze internazionali e un'anima profondamente italiana. Come riesce a contaminare creativamente una ricetta, arricchendola, senza mai snaturarne l'identità originale?

  • Onorando l'identità del piatto. Spesso mi piace sperimentare con un singolo ingrediente — potrebbe essere una spezia  — per aggiungere un tocco unico. Al Mandarin Garden, per esempio, abbiamo inserito una Linguina con astice blu e vadouvan che mantiene il ricordo di un piatto tipicamente italiano ma con la speziatura esotica e internazionale del vadouvan.  

  • All'interno della narrazione di un menù degustazione, quale ruolo strategico affida al piatto di pasta? È un momento di comfort, un picco tecnico o un ponte concettuale tra diverse portate?

  • Dipende dal menu degustazione, non c’è una regola fissa. Alla pasta affido tutte queste possibili narrazioni.

  • La sua filosofia "No Waste" è un principio etico, ma è anche il motore creativo da cui nascono i condimenti più intensi per i Suoi piatti di pasta?

  • Culturalmente si, ho sempre evitato lo spreco. Utilizzo il prodotto nella maniera più completa possibile: per esempio, quando preparo la pasta ai ricci di mare non uso solamente il corallo, ma ricavo un brodo dai loro gusci. Questa tecnica, oltre a insaporire il piatto, mi permette di utilizzare l'ingrediente integralmente, massimizzando il prodotto.

  • Prendendo come esempio un Suo piatto iconico, come gli Spaghetti con anemoni di mare, gamberi rossi, limone nero e crema di ravanelli marinati, potrebbe raccontarci la scintilla creativa iniziale e il percorso per raggiungere l'equilibrio perfetto?

  • La scintilla iniziale è il gusto: chiaro e diretto. Da li, inizio a costruire il piatto, in questo caso conferendo acidità con la salsa di ravanello e freschezza con la tartare di gamberi. Questo piatto racchiude in sè quattro elementi per me molto importanti in cucina: sapidità, gusto, acidità e freschezza.

  • La Sua "mano" sulla pasta è una sintesi complessa di tecnica e memoria. Al di là della ricetta, qual è il concetto più importante che cerca di trasmettere alla sua brigata per insegnare la sua filosofia e il suo tocco unico?

  • La sensibilità, anche da un punto di vista tattile.

  • In qualità di ambasciatore della cucina italiana, quando serve un Suo piatto di pasta a un cliente internazionale, sente la responsabilità di educarlo a una visione più evoluta e complessa di questo ingrediente?

  • No, il mio intento non è quello di educare. Credo che chi frequenta determinate tavole dovrebbe essere pronto ad un certo tipo di esperienza. Tuttavia, se un ospite non è abituato – ad esempio - alla cottura al dente, mi adeguo volentieri alla sua richiesta. Per me l’importante è che l’ospite esca da Seta contento dell’esperienza.

  • Guardando al futuro, quale eredità concettuale spera di lasciare sul modo di intendere la pasta? Quale principio o coraggio vorrebbe che un giovane chef assorbisse dal suo lavoro?

  • Vorrei trasmettere valori e cultura. Nelle case si cucina sempre meno, è quindi compito di noi chef mantenere e tramandare piatti della tradizione che altrimenti rischierebbero di essere dimenticati.

CURRICULUM VITAE

Antonio Guida nasce a Tricase, nel Salento (1972), dove la luce non perdona e il mare insegna la disciplina del sale: basta poco per sbilanciare tutto. Forse è da lì che viene la sua cifra più riconoscibile — una cucina che non cerca l’effetto, ma l’esattezza; che non alza la voce, e proprio per questo resta addosso.

Il mestiere lo impara per gradi e per attraversamenti. Inizia nel 1998 come ‘commis’, poi costruisce la propria grammatica tra Italia ed Europa, mettendo in dialogo l’ordine francese e la memoria mediterranea. Nel suo percorso compaiono cucine-icona come quella di Pierre Gagnaire a Parigi, Enoteca Pinchiorri a Firenze e Don Alfonso a Sant’Agata: tappe diverse, un’unica lezione costante — la tecnica vale solo se sa farsi invisibile.

Nel 2000 approda a Roma, a La Terrazza – Hotel Eden, dove cresce fino alla guida della cucina; nel 2002 arriva la svolta a Porto Ercole, a Il Pellicano: qui la sua mano matura e viene riconosciuta dalla Michelin con due stelle (2004 e 2010), come una conferma non di stile, ma di continuità.

Dal novembre 2014 è Executive Chef del Mandarin Oriental, Milan. Da Seta, in pochi mesi, definisce un’identità netta: prima stella nel 2015, seconda nel 2016. La sua è un’alta cucina italiana contemporanea che lavora per sottrazione: stagionalità rigorosa, sapori messi a fuoco, accostamenti che paiono semplici solo dopo che qualcuno ha fatto, in silenzio, tutti i conti. E infatti, nel piatto di Guida, la tecnica non chiede applausi: si ritira. Resta una linea pulita, un equilibrio sorvegliato, una limpidezza che non è fredda ma necessaria — come una frase ben scritta, in cui nulla manca e nulla avanza.

dialoghi

  • Ricordando le grandi tavolate domenicali, in cui Sua madre preparava la pasta per tutti, come traduce oggi quel senso di "festa" familiare nella disciplina di una brigata stellata? La sua filosofia di squadra si ispira a quel modello?

  • La mia filosofia di squadra si è sviluppata in due momenti distinti della mia vita professionale.  Inizialmente – parlo di oltre vent'anni fa – avevo un approccio quasi 'militare', dovuto in gran parte alla mia formazione francese, dove i ranghi sono ben definiti. Nel tempo, ho acquisito una maggiore sicurezza nel guidare una brigata e oggi preferisco che nella mia squadra ci sia un ambiente disciplinato e, soprattutto, improntato alla serenità e alla coesione del team.

  • La sua carriera è iniziata in pasticceria, un mondo di rigore scientifico. Questo Suo primo amore per la precisione le conferisce un approccio più tecnico all'impasto della pasta, distinguendola dalla gestualità della tradizione?

  • Sicuramente sì. Le mie prime esperienze in pasticceria mi hanno aiutato a comprendere sempre meglio l’importanza della tecnica in cucina. La creatività, infatti, deve essere sempre supportata da una tecnica solida, e mi è capitato spesso di trasferire nella mia cucina alcuni metodi studiati e affinati in pasticceria.

  • Lei ha definito l'esperienza da Pierre Gagnaire “un terremoto" che le ha insegnato a osare. Come ha applicato quella lezione di audacia a un ingrediente così codificato e tradizionale come la pasta italiana?

  • L’esperienza vissuta con Pierre Gagnaire mi ha permesso di uscire dagli schemi, di non aver paura di osare. Questo mi è servito per creare degli abbinamenti insoliti anche nei primi piatti di pasta, come i Bottoni farciti con cassoeula, ostrica e verza.

  • Nei Suoi piatti di pasta convivono influenze internazionali e un'anima profondamente italiana. Come riesce a contaminare creativamente una ricetta, arricchendola, senza mai snaturarne l'identità originale?

  • Onorando l'identità del piatto. Spesso mi piace sperimentare con un singolo ingrediente — potrebbe essere una spezia  — per aggiungere un tocco unico. Al Mandarin Garden, per esempio, abbiamo inserito una Linguina con astice blu e vadouvan che mantiene il ricordo di un piatto tipicamente italiano ma con la speziatura esotica e internazionale del vadouvan.  

  • All'interno della narrazione di un menù degustazione, quale ruolo strategico affida al piatto di pasta? È un momento di comfort, un picco tecnico o un ponte concettuale tra diverse portate?

  • Dipende dal menu degustazione, non c’è una regola fissa. Alla pasta affido tutte queste possibili narrazioni.

  • La sua filosofia "No Waste" è un principio etico, ma è anche il motore creativo da cui nascono i condimenti più intensi per i Suoi piatti di pasta?

  • Culturalmente si, ho sempre evitato lo spreco. Utilizzo il prodotto nella maniera più completa possibile: per esempio, quando preparo la pasta ai ricci di mare non uso solamente il corallo, ma ricavo un brodo dai loro gusci. Questa tecnica, oltre a insaporire il piatto, mi permette di utilizzare l'ingrediente integralmente, massimizzando il prodotto.

  • Prendendo come esempio un Suo piatto iconico, come gli Spaghetti con anemoni di mare, gamberi rossi, limone nero e crema di ravanelli marinati, potrebbe raccontarci la scintilla creativa iniziale e il percorso per raggiungere l'equilibrio perfetto?

  • La scintilla iniziale è il gusto: chiaro e diretto. Da li, inizio a costruire il piatto, in questo caso conferendo acidità con la salsa di ravanello e freschezza con la tartare di gamberi. Questo piatto racchiude in sè quattro elementi per me molto importanti in cucina: sapidità, gusto, acidità e freschezza.

  • La Sua "mano" sulla pasta è una sintesi complessa di tecnica e memoria. Al di là della ricetta, qual è il concetto più importante che cerca di trasmettere alla sua brigata per insegnare la sua filosofia e il suo tocco unico?

  • La sensibilità, anche da un punto di vista tattile.

  • In qualità di ambasciatore della cucina italiana, quando serve un Suo piatto di pasta a un cliente internazionale, sente la responsabilità di educarlo a una visione più evoluta e complessa di questo ingrediente?

  • No, il mio intento non è quello di educare. Credo che chi frequenta determinate tavole dovrebbe essere pronto ad un certo tipo di esperienza. Tuttavia, se un ospite non è abituato – ad esempio - alla cottura al dente, mi adeguo volentieri alla sua richiesta. Per me l’importante è che l’ospite esca da Seta contento dell’esperienza.

  • Guardando al futuro, quale eredità concettuale spera di lasciare sul modo di intendere la pasta? Quale principio o coraggio vorrebbe che un giovane chef assorbisse dal suo lavoro?

  • Vorrei trasmettere valori e cultura. Nelle case si cucina sempre meno, è quindi compito di noi chef mantenere e tramandare piatti della tradizione che altrimenti rischierebbero di essere dimenticati.

CURRICULUM VITAE

Antonio Guida nasce a Tricase, nel Salento (1972), dove la luce non perdona e il mare insegna la disciplina del sale: basta poco per sbilanciare tutto. Forse è da lì che viene la sua cifra più riconoscibile — una cucina che non cerca l’effetto, ma l’esattezza; che non alza la voce, e proprio per questo resta addosso.

Il mestiere lo impara per gradi e per attraversamenti. Inizia nel 1998 come ‘commis’, poi costruisce la propria grammatica tra Italia ed Europa, mettendo in dialogo l’ordine francese e la memoria mediterranea. Nel suo percorso compaiono cucine-icona come quella di Pierre Gagnaire a Parigi, Enoteca Pinchiorri a Firenze e Don Alfonso a Sant’Agata: tappe diverse, un’unica lezione costante — la tecnica vale solo se sa farsi invisibile.

Nel 2000 approda a Roma, a La Terrazza – Hotel Eden, dove cresce fino alla guida della cucina; nel 2002 arriva la svolta a Porto Ercole, a Il Pellicano: qui la sua mano matura e viene riconosciuta dalla Michelin con due stelle (2004 e 2010), come una conferma non di stile, ma di continuità.

Dal novembre 2014 è Executive Chef del Mandarin Oriental, Milan. Da Seta, in pochi mesi, definisce un’identità netta: prima stella nel 2015, seconda nel 2016. La sua è un’alta cucina italiana contemporanea che lavora per sottrazione: stagionalità rigorosa, sapori messi a fuoco, accostamenti che paiono semplici solo dopo che qualcuno ha fatto, in silenzio, tutti i conti. E infatti, nel piatto di Guida, la tecnica non chiede applausi: si ritira. Resta una linea pulita, un equilibrio sorvegliato, una limpidezza che non è fredda ma necessaria — come una frase ben scritta, in cui nulla manca e nulla avanza.

dialoghi

  • Ricordando le grandi tavolate domenicali, in cui Sua madre preparava la pasta per tutti, come traduce oggi quel senso di "festa" familiare nella disciplina di una brigata stellata? La sua filosofia di squadra si ispira a quel modello?

  • La mia filosofia di squadra si è sviluppata in due momenti distinti della mia vita professionale.  Inizialmente – parlo di oltre vent'anni fa – avevo un approccio quasi 'militare', dovuto in gran parte alla mia formazione francese, dove i ranghi sono ben definiti. Nel tempo, ho acquisito una maggiore sicurezza nel guidare una brigata e oggi preferisco che nella mia squadra ci sia un ambiente disciplinato e, soprattutto, improntato alla serenità e alla coesione del team.

  • La sua carriera è iniziata in pasticceria, un mondo di rigore scientifico. Questo Suo primo amore per la precisione le conferisce un approccio più tecnico all'impasto della pasta, distinguendola dalla gestualità della tradizione?

  • Sicuramente sì. Le mie prime esperienze in pasticceria mi hanno aiutato a comprendere sempre meglio l’importanza della tecnica in cucina. La creatività, infatti, deve essere sempre supportata da una tecnica solida, e mi è capitato spesso di trasferire nella mia cucina alcuni metodi studiati e affinati in pasticceria.

  • Lei ha definito l'esperienza da Pierre Gagnaire “un terremoto" che le ha insegnato a osare. Come ha applicato quella lezione di audacia a un ingrediente così codificato e tradizionale come la pasta italiana?

  • L’esperienza vissuta con Pierre Gagnaire mi ha permesso di uscire dagli schemi, di non aver paura di osare. Questo mi è servito per creare degli abbinamenti insoliti anche nei primi piatti di pasta, come i Bottoni farciti con cassoeula, ostrica e verza.

  • Nei Suoi piatti di pasta convivono influenze internazionali e un'anima profondamente italiana. Come riesce a contaminare creativamente una ricetta, arricchendola, senza mai snaturarne l'identità originale?

  • Onorando l'identità del piatto. Spesso mi piace sperimentare con un singolo ingrediente — potrebbe essere una spezia  — per aggiungere un tocco unico. Al Mandarin Garden, per esempio, abbiamo inserito una Linguina con astice blu e vadouvan che mantiene il ricordo di un piatto tipicamente italiano ma con la speziatura esotica e internazionale del vadouvan.  

  • All'interno della narrazione di un menù degustazione, quale ruolo strategico affida al piatto di pasta? È un momento di comfort, un picco tecnico o un ponte concettuale tra diverse portate?

  • Dipende dal menu degustazione, non c’è una regola fissa. Alla pasta affido tutte queste possibili narrazioni.

  • La sua filosofia "No Waste" è un principio etico, ma è anche il motore creativo da cui nascono i condimenti più intensi per i Suoi piatti di pasta?

  • Culturalmente si, ho sempre evitato lo spreco. Utilizzo il prodotto nella maniera più completa possibile: per esempio, quando preparo la pasta ai ricci di mare non uso solamente il corallo, ma ricavo un brodo dai loro gusci. Questa tecnica, oltre a insaporire il piatto, mi permette di utilizzare l'ingrediente integralmente, massimizzando il prodotto.

  • Prendendo come esempio un Suo piatto iconico, come gli Spaghetti con anemoni di mare, gamberi rossi, limone nero e crema di ravanelli marinati, potrebbe raccontarci la scintilla creativa iniziale e il percorso per raggiungere l'equilibrio perfetto?

  • La scintilla iniziale è il gusto: chiaro e diretto. Da li, inizio a costruire il piatto, in questo caso conferendo acidità con la salsa di ravanello e freschezza con la tartare di gamberi. Questo piatto racchiude in sè quattro elementi per me molto importanti in cucina: sapidità, gusto, acidità e freschezza.

  • La Sua "mano" sulla pasta è una sintesi complessa di tecnica e memoria. Al di là della ricetta, qual è il concetto più importante che cerca di trasmettere alla sua brigata per insegnare la sua filosofia e il suo tocco unico?

  • La sensibilità, anche da un punto di vista tattile.

  • In qualità di ambasciatore della cucina italiana, quando serve un Suo piatto di pasta a un cliente internazionale, sente la responsabilità di educarlo a una visione più evoluta e complessa di questo ingrediente?

  • No, il mio intento non è quello di educare. Credo che chi frequenta determinate tavole dovrebbe essere pronto ad un certo tipo di esperienza. Tuttavia, se un ospite non è abituato – ad esempio - alla cottura al dente, mi adeguo volentieri alla sua richiesta. Per me l’importante è che l’ospite esca da Seta contento dell’esperienza.

  • Guardando al futuro, quale eredità concettuale spera di lasciare sul modo di intendere la pasta? Quale principio o coraggio vorrebbe che un giovane chef assorbisse dal suo lavoro?

  • Vorrei trasmettere valori e cultura. Nelle case si cucina sempre meno, è quindi compito di noi chef mantenere e tramandare piatti della tradizione che altrimenti rischierebbero di essere dimenticati.