
FLORIANO PELLEGRINO
Dalle Radici Salentine all'Avanguardia Stellata
1990
Lecce
Avanguardia Territoriale

FLORIANO PELLEGRINO
Dalle Radici Salentine all'Avanguardia Stellata
1990
Lecce
Avanguardia Territoriale

FLORIANO PELLEGRINO
Dalle Radici Salentine all'Avanguardia Stellata
1990
Lecce
Avanguardia Territoriale
CURRICULUM VITAE
Nato a Lecce il 21 novembre 1990 e cresciuto tra Trepuzzi e Scorrano, Floriano Pellegrino è uno degli chef più talentuosi e discussi del panorama gastronomico italiano contemporaneo. La sua passione per la cucina affonda le radici nell'attività di famiglia: i suoi genitori gestivano un agriturismo a Scorrano, dove Floriano, fin da bambino, ha mosso i primi passi tra i fornelli, aiutando la madre e i fratelli. Questa immersione precoce nel mondo del cibo e dell'ospitalità ha segnato profondamente il suo percorso.
Dopo aver completato gli studi alberghieri, Floriano intraprende un percorso formativo d'eccellenza a livello internazionale. Lavora in alcune delle cucine più prestigiose d'Europa, al fianco di maestri come Andoni Aduriz, Eneko Atxa, Alexandre Gauthier, René Redzepi e Claude Bosi. Particolarmente significativa per la sua crescita professionale e umana è stata l'esperienza alla corte di Martin Berasategui, che gli ha trasmesso l'attitudine necessaria per diventare un cuoco completo e contemporaneo.
Tornato nel Salento con una visione chiara e ambiziosa, Floriano Pellegrino apre a Lecce il ristorante Bros'. Inizialmente affiancato dal fratello Giovanni, prosegue poi l'avventura con la compagna Isabella Potì, pasticcera di grande talento. Bros' si distingue fin da subito per la sua cucina d'avanguardia, profondamente legata al territorio salentino ma reinterpretata in chiave moderna e provocatoria.
Il talento e la determinazione di Floriano vengono rapidamente riconosciuti. Nel 2016 ottiene importanti premi come il "Top di Domani" per il Touring Club, "Sorpresa dell'anno" per Identità Golose e il "Premio Vent'anni" per San Pellegrino e Acqua Panna. Nel 2017, con Bros', raggiunge i 3 cappelli sulle Guide dell'Espresso e nel gennaio 2018 viene inserito nella prestigiosa lista "Forbes 30 Under 30" nella categoria Art. Il coronamento del suo lavoro arriva a novembre 2018 con l'assegnazione della prima Stella Michelin al ristorante Bros', la prima nel Salento.
Insieme a Isabella Potì, Floriano ha fondato la holding Pellegrino Brothers, che gestisce diverse attività oltre al ristorante Bros', tra cui la Bros' Trattoria a Scorrano e un'agenzia di comunicazione. Dimostrando un forte legame con la sua terra e un impegno sociale, ha anche dato vita al Bros' Rugby Club, un progetto volto al reinserimento di giovani attraverso lo sport.
Recentemente, Floriano Pellegrino e Isabella Potì hanno annunciato un importante cambiamento per Bros': il ristorante si trasferirà da Lecce a Martina Franca, in Valle d'Itria, all'interno di Villa San Martino. Questo spostamento rappresenta un nuovo capitolo e un progetto ancora più ampio che mira a creare un vero e jolly "ecosistema gastronomico" integrando alta cucina, ospitalità e ricerca. La nuova sede del Bros' è prevista per maggio 2025, mentre la Trattoria di Scorrano si sposterà anch'essa in un trullo accanto a Villa San Martino a marzo 2025.
Floriano Pellegrino, con la sua cucina concettuale e saldamente radicata nel territorio, continua a promuovere il Salento a livello internazionale, portando avanti la sua visione audace e innovativa. Nel 2022 si è classificato al 59° posto nella prestigiosa classifica "The Best Chef Awards", confermando il suo ruolo tra i grandi chef a livello mondiale.
dialoghi
Volendo rievocare un suo ricordo d’infanzia, quale le torna alla mente come il più remoto e significativo che abbia un legame con il mondo della pasta?
Il primo ricordo che ho legato alla pasta è il suono. Il suono della pentola che bolle e del mestolo che gira. Da bambino, per me non era ancora cibo, era ritmo. Poi arrivava il profumo del sugo che invadeva tutta la casa, e diventava un richiamo. Non era solo fame: era appartenenza. In Puglia la pasta non è un piatto, è un codice. Ogni famiglia ha il suo linguaggio, i suoi tempi, le sue liturgie. La domenica non iniziava finché la pasta non era sul fuoco.
Se ripensa alla sua carriera professionale, esiste un piatto a base di pasta che spicca per il suo impatto e per aver influenzato la direzione del suo percorso?
Sì. Quando abbiamo creato la pasta, pisello nano e tuorlo, abbiamo capito che non stavamo più solo cucinando: stavamo scrivendo qualcosa. Quel piatto è stato il nostro punto di svolta. Non era estetico, era politico. Non cercava di piacere, cercava di dire. Prendere un’icona nazionale come la pasta, svuotarla, ricostruirla con tecnica, ma lasciandole l’anima. Quel piatto ci ha dato una voce, ci ha dato un’identità precisa. E da lì non ci siamo più fermati.
Quale preparazione tra quelle da lei proposte rappresenta la sua firma gastronomica?
La pasta, pisello nano e tuorlo è la nostra firma. È un piatto che ha fatto discutere, ha fatto pensare, ha generato emozioni forti. Per noi questo è il senso di firmare un piatto: non essere riconoscibili solo per lo stile, ma per il pensiero che lo muove. Quel piatto ha tutto: radice, rottura, provocazione, dolcezza. È Bros puro.
Considerando la varietà di paste disponibili, ve n’è una che gode di una sua particolare predilezione? Potrebbe illustrarci il suo approccio creativo nell’abbinare i diversi tipi di pasta ai condimenti?
Io non scelgo un formato di pasta perché è il mio preferito, ma perché parla con il condimento che ho in mente. Il mio approccio è sempre narrativo. Prima penso al messaggio, poi costruisco la struttura. Ad esempio, una pasta lunga la uso quando voglio fluidità, una sensazione sensuale. Una pasta corta e ruvida mi serve per creare attrito, resistenza. Ogni pasta è uno strumento. La mia regola è: la pasta deve amplificare il sapore, non subirlo.
Qual è il suo pensiero in merito al ruolo e alla trasformazione della pasta nella cucina gourmet? Ci sono novità, tecniche o tendenze che attirano la sua attenzione?
La pasta nella cucina gourmet ha smesso di essere “concessione alla tradizione”. Oggi può essere un mezzo di rottura, un veicolo di avanguardia. Mi interessa molto la ricerca sulle fermentazioni applicate ai ripieni, le cotture ibride, le paste da masticazione lenta. E mi colpisce l’uso della pasta per raccontare territori in modo non folkloristico. La pasta non è solo comfort: è struttura, è tensione, è linguaggio.
Quale piatto di pasta le dona un senso di conforto, quasi fosse un abbraccio culinario? E a casa, cosa cucina più spesso?
Il piatto che mi consola davvero è una pasta semplice al pomodoro, fatta bene, con l’acqua della pasta che lega tutto. È come tornare bambino senza fare finta. A casa cucino in modo essenziale. Spesso spaghetti aglio, olio e peperoncino. Ma ogni tanto mi viene voglia di una pasta ripiena fatta in casa, da condividere. Per me la pasta è sempre legame. Anche quando sto da solo.
Quali tecniche di cottura utilizza per la pasta? Ne predilige una?
Utilizzo molte tecniche, ma la mia preferita è la risottatura: mi dà il controllo totale sull’amido, sulla cremosità, sul sapore. È una tecnica che ti costringe a essere presente, a guidare la cottura secondo le tue regole. Uso anche la doppia cottura per le paste ripiene quando voglio più precisione. E sperimento molto anche con le infusioni negli amidi, per portare aroma direttamente nella pasta. Ma la tecnica serve solo se amplifica l’intenzione.
Qual è la sua opinione sul rilancio della pasta asciutta come simbolo della cucina italiana?
Credo sia un segnale positivo. Ma attenzione: rilanciare non significa replicare, significa riscrivere. La pasta asciutta può diventare un totem nuovo, ma solo se chi la lavora ha qualcosa da dire. Altrimenti è solo comfort food mascherato da storytelling. Oggi abbiamo gli strumenti per farle raccontare cose profonde. La pasta asciutta, se ben pensata, può essere avanguardia.
La pasta per lei è elemento di base o il fulcro del piatto?
Dipende. A volte è sfondo, altre protagonista; ma in entrambi i casi deve avere un ruolo attivo. La pasta non è un supporto muto. Anche quando sta in sottofondo, deve sapere perché è messa lì. Deve dialogare con gli altri elementi del piatto. Nella mia cucina tutto è pensato come dialogo, mai come gerarchia. La pasta può essere silenziosa, ma mai passiva.
Cosa ne pensa del boom di nuove attività legate alla pizza rispetto a quelle sulla pasta?
La pizza è più immediata, più “Instagrammabile”, più democratica. Ma non c’è concorrenza. Chi lavora sulla pasta sa che sta lavorando su qualcosa di più tecnico, più delicato, più profondo. È un lavoro di cesello, non di impatto. Ci vuole più tempo per arrivare al pubblico, ma quando arrivi, crei legame, cultura, riconoscibilità. Io non mi preoccupo delle mode: mi concentro sull’identità.
Dove si colloca, per lei, un piatto di pasta in un menù degustazione?
Non c’è una regola. Può essere un climax, un intermezzo o persino un antipasto se usato con intelligenza. Una volta l’abbiamo messo come dessert, e funzionava. La pasta è così forte culturalmente che puoi usarla in qualunque punto del menù. L’importante è non usarla per fare “piacere”. Va usata per comunicare un passaggio, un pensiero, una svolta. La sua forza è la sua versatilità. Ma proprio per questo va maneggiata con rigore.
CURRICULUM VITAE
Nato a Lecce il 21 novembre 1990 e cresciuto tra Trepuzzi e Scorrano, Floriano Pellegrino è uno degli chef più talentuosi e discussi del panorama gastronomico italiano contemporaneo. La sua passione per la cucina affonda le radici nell'attività di famiglia: i suoi genitori gestivano un agriturismo a Scorrano, dove Floriano, fin da bambino, ha mosso i primi passi tra i fornelli, aiutando la madre e i fratelli. Questa immersione precoce nel mondo del cibo e dell'ospitalità ha segnato profondamente il suo percorso.
Dopo aver completato gli studi alberghieri, Floriano intraprende un percorso formativo d'eccellenza a livello internazionale. Lavora in alcune delle cucine più prestigiose d'Europa, al fianco di maestri come Andoni Aduriz, Eneko Atxa, Alexandre Gauthier, René Redzepi e Claude Bosi. Particolarmente significativa per la sua crescita professionale e umana è stata l'esperienza alla corte di Martin Berasategui, che gli ha trasmesso l'attitudine necessaria per diventare un cuoco completo e contemporaneo.
Tornato nel Salento con una visione chiara e ambiziosa, Floriano Pellegrino apre a Lecce il ristorante Bros'. Inizialmente affiancato dal fratello Giovanni, prosegue poi l'avventura con la compagna Isabella Potì, pasticcera di grande talento. Bros' si distingue fin da subito per la sua cucina d'avanguardia, profondamente legata al territorio salentino ma reinterpretata in chiave moderna e provocatoria.
Il talento e la determinazione di Floriano vengono rapidamente riconosciuti. Nel 2016 ottiene importanti premi come il "Top di Domani" per il Touring Club, "Sorpresa dell'anno" per Identità Golose e il "Premio Vent'anni" per San Pellegrino e Acqua Panna. Nel 2017, con Bros', raggiunge i 3 cappelli sulle Guide dell'Espresso e nel gennaio 2018 viene inserito nella prestigiosa lista "Forbes 30 Under 30" nella categoria Art. Il coronamento del suo lavoro arriva a novembre 2018 con l'assegnazione della prima Stella Michelin al ristorante Bros', la prima nel Salento.
Insieme a Isabella Potì, Floriano ha fondato la holding Pellegrino Brothers, che gestisce diverse attività oltre al ristorante Bros', tra cui la Bros' Trattoria a Scorrano e un'agenzia di comunicazione. Dimostrando un forte legame con la sua terra e un impegno sociale, ha anche dato vita al Bros' Rugby Club, un progetto volto al reinserimento di giovani attraverso lo sport.
Recentemente, Floriano Pellegrino e Isabella Potì hanno annunciato un importante cambiamento per Bros': il ristorante si trasferirà da Lecce a Martina Franca, in Valle d'Itria, all'interno di Villa San Martino. Questo spostamento rappresenta un nuovo capitolo e un progetto ancora più ampio che mira a creare un vero e jolly "ecosistema gastronomico" integrando alta cucina, ospitalità e ricerca. La nuova sede del Bros' è prevista per maggio 2025, mentre la Trattoria di Scorrano si sposterà anch'essa in un trullo accanto a Villa San Martino a marzo 2025.
Floriano Pellegrino, con la sua cucina concettuale e saldamente radicata nel territorio, continua a promuovere il Salento a livello internazionale, portando avanti la sua visione audace e innovativa. Nel 2022 si è classificato al 59° posto nella prestigiosa classifica "The Best Chef Awards", confermando il suo ruolo tra i grandi chef a livello mondiale.
dialoghi
Volendo rievocare un suo ricordo d’infanzia, quale le torna alla mente come il più remoto e significativo che abbia un legame con il mondo della pasta?
Il primo ricordo che ho legato alla pasta è il suono. Il suono della pentola che bolle e del mestolo che gira. Da bambino, per me non era ancora cibo, era ritmo. Poi arrivava il profumo del sugo che invadeva tutta la casa, e diventava un richiamo. Non era solo fame: era appartenenza. In Puglia la pasta non è un piatto, è un codice. Ogni famiglia ha il suo linguaggio, i suoi tempi, le sue liturgie. La domenica non iniziava finché la pasta non era sul fuoco.
Se ripensa alla sua carriera professionale, esiste un piatto a base di pasta che spicca per il suo impatto e per aver influenzato la direzione del suo percorso?
Sì. Quando abbiamo creato la pasta, pisello nano e tuorlo, abbiamo capito che non stavamo più solo cucinando: stavamo scrivendo qualcosa. Quel piatto è stato il nostro punto di svolta. Non era estetico, era politico. Non cercava di piacere, cercava di dire. Prendere un’icona nazionale come la pasta, svuotarla, ricostruirla con tecnica, ma lasciandole l’anima. Quel piatto ci ha dato una voce, ci ha dato un’identità precisa. E da lì non ci siamo più fermati.
Quale preparazione tra quelle da lei proposte rappresenta la sua firma gastronomica?
La pasta, pisello nano e tuorlo è la nostra firma. È un piatto che ha fatto discutere, ha fatto pensare, ha generato emozioni forti. Per noi questo è il senso di firmare un piatto: non essere riconoscibili solo per lo stile, ma per il pensiero che lo muove. Quel piatto ha tutto: radice, rottura, provocazione, dolcezza. È Bros puro.
Considerando la varietà di paste disponibili, ve n’è una che gode di una sua particolare predilezione? Potrebbe illustrarci il suo approccio creativo nell’abbinare i diversi tipi di pasta ai condimenti?
Io non scelgo un formato di pasta perché è il mio preferito, ma perché parla con il condimento che ho in mente. Il mio approccio è sempre narrativo. Prima penso al messaggio, poi costruisco la struttura. Ad esempio, una pasta lunga la uso quando voglio fluidità, una sensazione sensuale. Una pasta corta e ruvida mi serve per creare attrito, resistenza. Ogni pasta è uno strumento. La mia regola è: la pasta deve amplificare il sapore, non subirlo.
Qual è il suo pensiero in merito al ruolo e alla trasformazione della pasta nella cucina gourmet? Ci sono novità, tecniche o tendenze che attirano la sua attenzione?
La pasta nella cucina gourmet ha smesso di essere “concessione alla tradizione”. Oggi può essere un mezzo di rottura, un veicolo di avanguardia. Mi interessa molto la ricerca sulle fermentazioni applicate ai ripieni, le cotture ibride, le paste da masticazione lenta. E mi colpisce l’uso della pasta per raccontare territori in modo non folkloristico. La pasta non è solo comfort: è struttura, è tensione, è linguaggio.
Quale piatto di pasta le dona un senso di conforto, quasi fosse un abbraccio culinario? E a casa, cosa cucina più spesso?
Il piatto che mi consola davvero è una pasta semplice al pomodoro, fatta bene, con l’acqua della pasta che lega tutto. È come tornare bambino senza fare finta. A casa cucino in modo essenziale. Spesso spaghetti aglio, olio e peperoncino. Ma ogni tanto mi viene voglia di una pasta ripiena fatta in casa, da condividere. Per me la pasta è sempre legame. Anche quando sto da solo.
Quali tecniche di cottura utilizza per la pasta? Ne predilige una?
Utilizzo molte tecniche, ma la mia preferita è la risottatura: mi dà il controllo totale sull’amido, sulla cremosità, sul sapore. È una tecnica che ti costringe a essere presente, a guidare la cottura secondo le tue regole. Uso anche la doppia cottura per le paste ripiene quando voglio più precisione. E sperimento molto anche con le infusioni negli amidi, per portare aroma direttamente nella pasta. Ma la tecnica serve solo se amplifica l’intenzione.
Qual è la sua opinione sul rilancio della pasta asciutta come simbolo della cucina italiana?
Credo sia un segnale positivo. Ma attenzione: rilanciare non significa replicare, significa riscrivere. La pasta asciutta può diventare un totem nuovo, ma solo se chi la lavora ha qualcosa da dire. Altrimenti è solo comfort food mascherato da storytelling. Oggi abbiamo gli strumenti per farle raccontare cose profonde. La pasta asciutta, se ben pensata, può essere avanguardia.
La pasta per lei è elemento di base o il fulcro del piatto?
Dipende. A volte è sfondo, altre protagonista; ma in entrambi i casi deve avere un ruolo attivo. La pasta non è un supporto muto. Anche quando sta in sottofondo, deve sapere perché è messa lì. Deve dialogare con gli altri elementi del piatto. Nella mia cucina tutto è pensato come dialogo, mai come gerarchia. La pasta può essere silenziosa, ma mai passiva.
Cosa ne pensa del boom di nuove attività legate alla pizza rispetto a quelle sulla pasta?
La pizza è più immediata, più “Instagrammabile”, più democratica. Ma non c’è concorrenza. Chi lavora sulla pasta sa che sta lavorando su qualcosa di più tecnico, più delicato, più profondo. È un lavoro di cesello, non di impatto. Ci vuole più tempo per arrivare al pubblico, ma quando arrivi, crei legame, cultura, riconoscibilità. Io non mi preoccupo delle mode: mi concentro sull’identità.
Dove si colloca, per lei, un piatto di pasta in un menù degustazione?
Non c’è una regola. Può essere un climax, un intermezzo o persino un antipasto se usato con intelligenza. Una volta l’abbiamo messo come dessert, e funzionava. La pasta è così forte culturalmente che puoi usarla in qualunque punto del menù. L’importante è non usarla per fare “piacere”. Va usata per comunicare un passaggio, un pensiero, una svolta. La sua forza è la sua versatilità. Ma proprio per questo va maneggiata con rigore.
CURRICULUM VITAE
Nato a Lecce il 21 novembre 1990 e cresciuto tra Trepuzzi e Scorrano, Floriano Pellegrino è uno degli chef più talentuosi e discussi del panorama gastronomico italiano contemporaneo. La sua passione per la cucina affonda le radici nell'attività di famiglia: i suoi genitori gestivano un agriturismo a Scorrano, dove Floriano, fin da bambino, ha mosso i primi passi tra i fornelli, aiutando la madre e i fratelli. Questa immersione precoce nel mondo del cibo e dell'ospitalità ha segnato profondamente il suo percorso.
Dopo aver completato gli studi alberghieri, Floriano intraprende un percorso formativo d'eccellenza a livello internazionale. Lavora in alcune delle cucine più prestigiose d'Europa, al fianco di maestri come Andoni Aduriz, Eneko Atxa, Alexandre Gauthier, René Redzepi e Claude Bosi. Particolarmente significativa per la sua crescita professionale e umana è stata l'esperienza alla corte di Martin Berasategui, che gli ha trasmesso l'attitudine necessaria per diventare un cuoco completo e contemporaneo.
Tornato nel Salento con una visione chiara e ambiziosa, Floriano Pellegrino apre a Lecce il ristorante Bros'. Inizialmente affiancato dal fratello Giovanni, prosegue poi l'avventura con la compagna Isabella Potì, pasticcera di grande talento. Bros' si distingue fin da subito per la sua cucina d'avanguardia, profondamente legata al territorio salentino ma reinterpretata in chiave moderna e provocatoria.
Il talento e la determinazione di Floriano vengono rapidamente riconosciuti. Nel 2016 ottiene importanti premi come il "Top di Domani" per il Touring Club, "Sorpresa dell'anno" per Identità Golose e il "Premio Vent'anni" per San Pellegrino e Acqua Panna. Nel 2017, con Bros', raggiunge i 3 cappelli sulle Guide dell'Espresso e nel gennaio 2018 viene inserito nella prestigiosa lista "Forbes 30 Under 30" nella categoria Art. Il coronamento del suo lavoro arriva a novembre 2018 con l'assegnazione della prima Stella Michelin al ristorante Bros', la prima nel Salento.
Insieme a Isabella Potì, Floriano ha fondato la holding Pellegrino Brothers, che gestisce diverse attività oltre al ristorante Bros', tra cui la Bros' Trattoria a Scorrano e un'agenzia di comunicazione. Dimostrando un forte legame con la sua terra e un impegno sociale, ha anche dato vita al Bros' Rugby Club, un progetto volto al reinserimento di giovani attraverso lo sport.
Recentemente, Floriano Pellegrino e Isabella Potì hanno annunciato un importante cambiamento per Bros': il ristorante si trasferirà da Lecce a Martina Franca, in Valle d'Itria, all'interno di Villa San Martino. Questo spostamento rappresenta un nuovo capitolo e un progetto ancora più ampio che mira a creare un vero e jolly "ecosistema gastronomico" integrando alta cucina, ospitalità e ricerca. La nuova sede del Bros' è prevista per maggio 2025, mentre la Trattoria di Scorrano si sposterà anch'essa in un trullo accanto a Villa San Martino a marzo 2025.
Floriano Pellegrino, con la sua cucina concettuale e saldamente radicata nel territorio, continua a promuovere il Salento a livello internazionale, portando avanti la sua visione audace e innovativa. Nel 2022 si è classificato al 59° posto nella prestigiosa classifica "The Best Chef Awards", confermando il suo ruolo tra i grandi chef a livello mondiale.
dialoghi
Volendo rievocare un suo ricordo d’infanzia, quale le torna alla mente come il più remoto e significativo che abbia un legame con il mondo della pasta?
Il primo ricordo che ho legato alla pasta è il suono. Il suono della pentola che bolle e del mestolo che gira. Da bambino, per me non era ancora cibo, era ritmo. Poi arrivava il profumo del sugo che invadeva tutta la casa, e diventava un richiamo. Non era solo fame: era appartenenza. In Puglia la pasta non è un piatto, è un codice. Ogni famiglia ha il suo linguaggio, i suoi tempi, le sue liturgie. La domenica non iniziava finché la pasta non era sul fuoco.
Se ripensa alla sua carriera professionale, esiste un piatto a base di pasta che spicca per il suo impatto e per aver influenzato la direzione del suo percorso?
Sì. Quando abbiamo creato la pasta, pisello nano e tuorlo, abbiamo capito che non stavamo più solo cucinando: stavamo scrivendo qualcosa. Quel piatto è stato il nostro punto di svolta. Non era estetico, era politico. Non cercava di piacere, cercava di dire. Prendere un’icona nazionale come la pasta, svuotarla, ricostruirla con tecnica, ma lasciandole l’anima. Quel piatto ci ha dato una voce, ci ha dato un’identità precisa. E da lì non ci siamo più fermati.
Quale preparazione tra quelle da lei proposte rappresenta la sua firma gastronomica?
La pasta, pisello nano e tuorlo è la nostra firma. È un piatto che ha fatto discutere, ha fatto pensare, ha generato emozioni forti. Per noi questo è il senso di firmare un piatto: non essere riconoscibili solo per lo stile, ma per il pensiero che lo muove. Quel piatto ha tutto: radice, rottura, provocazione, dolcezza. È Bros puro.
Considerando la varietà di paste disponibili, ve n’è una che gode di una sua particolare predilezione? Potrebbe illustrarci il suo approccio creativo nell’abbinare i diversi tipi di pasta ai condimenti?
Io non scelgo un formato di pasta perché è il mio preferito, ma perché parla con il condimento che ho in mente. Il mio approccio è sempre narrativo. Prima penso al messaggio, poi costruisco la struttura. Ad esempio, una pasta lunga la uso quando voglio fluidità, una sensazione sensuale. Una pasta corta e ruvida mi serve per creare attrito, resistenza. Ogni pasta è uno strumento. La mia regola è: la pasta deve amplificare il sapore, non subirlo.
Qual è il suo pensiero in merito al ruolo e alla trasformazione della pasta nella cucina gourmet? Ci sono novità, tecniche o tendenze che attirano la sua attenzione?
La pasta nella cucina gourmet ha smesso di essere “concessione alla tradizione”. Oggi può essere un mezzo di rottura, un veicolo di avanguardia. Mi interessa molto la ricerca sulle fermentazioni applicate ai ripieni, le cotture ibride, le paste da masticazione lenta. E mi colpisce l’uso della pasta per raccontare territori in modo non folkloristico. La pasta non è solo comfort: è struttura, è tensione, è linguaggio.
Quale piatto di pasta le dona un senso di conforto, quasi fosse un abbraccio culinario? E a casa, cosa cucina più spesso?
Il piatto che mi consola davvero è una pasta semplice al pomodoro, fatta bene, con l’acqua della pasta che lega tutto. È come tornare bambino senza fare finta. A casa cucino in modo essenziale. Spesso spaghetti aglio, olio e peperoncino. Ma ogni tanto mi viene voglia di una pasta ripiena fatta in casa, da condividere. Per me la pasta è sempre legame. Anche quando sto da solo.
Quali tecniche di cottura utilizza per la pasta? Ne predilige una?
Utilizzo molte tecniche, ma la mia preferita è la risottatura: mi dà il controllo totale sull’amido, sulla cremosità, sul sapore. È una tecnica che ti costringe a essere presente, a guidare la cottura secondo le tue regole. Uso anche la doppia cottura per le paste ripiene quando voglio più precisione. E sperimento molto anche con le infusioni negli amidi, per portare aroma direttamente nella pasta. Ma la tecnica serve solo se amplifica l’intenzione.
Qual è la sua opinione sul rilancio della pasta asciutta come simbolo della cucina italiana?
Credo sia un segnale positivo. Ma attenzione: rilanciare non significa replicare, significa riscrivere. La pasta asciutta può diventare un totem nuovo, ma solo se chi la lavora ha qualcosa da dire. Altrimenti è solo comfort food mascherato da storytelling. Oggi abbiamo gli strumenti per farle raccontare cose profonde. La pasta asciutta, se ben pensata, può essere avanguardia.
La pasta per lei è elemento di base o il fulcro del piatto?
Dipende. A volte è sfondo, altre protagonista; ma in entrambi i casi deve avere un ruolo attivo. La pasta non è un supporto muto. Anche quando sta in sottofondo, deve sapere perché è messa lì. Deve dialogare con gli altri elementi del piatto. Nella mia cucina tutto è pensato come dialogo, mai come gerarchia. La pasta può essere silenziosa, ma mai passiva.
Cosa ne pensa del boom di nuove attività legate alla pizza rispetto a quelle sulla pasta?
La pizza è più immediata, più “Instagrammabile”, più democratica. Ma non c’è concorrenza. Chi lavora sulla pasta sa che sta lavorando su qualcosa di più tecnico, più delicato, più profondo. È un lavoro di cesello, non di impatto. Ci vuole più tempo per arrivare al pubblico, ma quando arrivi, crei legame, cultura, riconoscibilità. Io non mi preoccupo delle mode: mi concentro sull’identità.
Dove si colloca, per lei, un piatto di pasta in un menù degustazione?
Non c’è una regola. Può essere un climax, un intermezzo o persino un antipasto se usato con intelligenza. Una volta l’abbiamo messo come dessert, e funzionava. La pasta è così forte culturalmente che puoi usarla in qualunque punto del menù. L’importante è non usarla per fare “piacere”. Va usata per comunicare un passaggio, un pensiero, una svolta. La sua forza è la sua versatilità. Ma proprio per questo va maneggiata con rigore.