
IL FILINDEU
l'anima segreta della festa di San Francesco a Nuoro
01/05/25

IL FILINDEU
l'anima segreta della festa di San Francesco a Nuoro
01/05/25

IL FILINDEU
l'anima segreta della festa di San Francesco a Nuoro
01/05/25
Tra i riti silenziosi e i passi lenti della processione, a Nuoro c’è un altro miracolo che si compie due volte l’anno - durante le notti del primo maggio e del 4 ottobre - lontano dagli occhi, ma scolpito nel cuore della festa di San Francesco: il filindeu.
Un cibo sacro, come abbiamo già dissertato, nato dal lavoro lento e ostinato delle mani muliebri, tramandato dalle poche (ne rimangono orami solo una decina) che lo serbano come un segreto da custodire, più che da raccontare.
In piccole stanze rischiarate appena dalla luce timida del mattino, delicate mani pazienti intrecciano la semola e l’acqua fino a creare fili sottilissimi su tre strati sovrapposti in diagonale, intrecciandoli in modo da formare un sottile cerchio dalla superficie irregolare, stesi poi, come una trama, sopra una graticcia rotonda. È un lavoro che non conosce fretta, che richiede la stessa dedizione e intento di una preghiera, dove ogni strato di pasta intrecciata sembra imitare il disegno nascosto dell’universo, la trama invisibile che tiene insieme il mondo.
Durante la festa, il filindeu viene offerto in brodo di pecora e cosparso da una nevicata di Pecorino sardo DOP, semplice e profondo come la fede che muove la città. Non è solo cibo: è un dono, gratitudine, è memoria che si fa sapore, è l’abbraccio dei vivi ai loro antenati, ai santi, alla terra. Ogni boccone è un atto di di speranza, un legame che si rinnova.
Nessuno può comprare il vero filindeu: viene donato, e ciò’ lo rende ancora più prezioso. Chi ne riceve una ciotola fumante sa di essere stato accolto in qualcosa di antico e sacro, che si misura in benedetta appartenenza.
Tra i riti silenziosi e i passi lenti della processione, a Nuoro c’è un altro miracolo che si compie due volte l’anno - durante le notti del primo maggio e del 4 ottobre - lontano dagli occhi, ma scolpito nel cuore della festa di San Francesco: il filindeu.
Un cibo sacro, come abbiamo già dissertato, nato dal lavoro lento e ostinato delle mani muliebri, tramandato dalle poche (ne rimangono orami solo una decina) che lo serbano come un segreto da custodire, più che da raccontare.
In piccole stanze rischiarate appena dalla luce timida del mattino, delicate mani pazienti intrecciano la semola e l’acqua fino a creare fili sottilissimi su tre strati sovrapposti in diagonale, intrecciandoli in modo da formare un sottile cerchio dalla superficie irregolare, stesi poi, come una trama, sopra una graticcia rotonda. È un lavoro che non conosce fretta, che richiede la stessa dedizione e intento di una preghiera, dove ogni strato di pasta intrecciata sembra imitare il disegno nascosto dell’universo, la trama invisibile che tiene insieme il mondo.
Durante la festa, il filindeu viene offerto in brodo di pecora e cosparso da una nevicata di Pecorino sardo DOP, semplice e profondo come la fede che muove la città. Non è solo cibo: è un dono, gratitudine, è memoria che si fa sapore, è l’abbraccio dei vivi ai loro antenati, ai santi, alla terra. Ogni boccone è un atto di di speranza, un legame che si rinnova.
Nessuno può comprare il vero filindeu: viene donato, e ciò’ lo rende ancora più prezioso. Chi ne riceve una ciotola fumante sa di essere stato accolto in qualcosa di antico e sacro, che si misura in benedetta appartenenza.
Tra i riti silenziosi e i passi lenti della processione, a Nuoro c’è un altro miracolo che si compie due volte l’anno - durante le notti del primo maggio e del 4 ottobre - lontano dagli occhi, ma scolpito nel cuore della festa di San Francesco: il filindeu.
Un cibo sacro, come abbiamo già dissertato, nato dal lavoro lento e ostinato delle mani muliebri, tramandato dalle poche (ne rimangono orami solo una decina) che lo serbano come un segreto da custodire, più che da raccontare.
In piccole stanze rischiarate appena dalla luce timida del mattino, delicate mani pazienti intrecciano la semola e l’acqua fino a creare fili sottilissimi su tre strati sovrapposti in diagonale, intrecciandoli in modo da formare un sottile cerchio dalla superficie irregolare, stesi poi, come una trama, sopra una graticcia rotonda. È un lavoro che non conosce fretta, che richiede la stessa dedizione e intento di una preghiera, dove ogni strato di pasta intrecciata sembra imitare il disegno nascosto dell’universo, la trama invisibile che tiene insieme il mondo.
Durante la festa, il filindeu viene offerto in brodo di pecora e cosparso da una nevicata di Pecorino sardo DOP, semplice e profondo come la fede che muove la città. Non è solo cibo: è un dono, gratitudine, è memoria che si fa sapore, è l’abbraccio dei vivi ai loro antenati, ai santi, alla terra. Ogni boccone è un atto di di speranza, un legame che si rinnova.
Nessuno può comprare il vero filindeu: viene donato, e ciò’ lo rende ancora più prezioso. Chi ne riceve una ciotola fumante sa di essere stato accolto in qualcosa di antico e sacro, che si misura in benedetta appartenenza.



