
LUCA ANDRE'
un Pioniere della Cucina Vegetale d'Alta Gamma
1983
Brianza
Vegetale Contemporanea

LUCA ANDRE'
un Pioniere della Cucina Vegetale d'Alta Gamma
1983
Brianza
Vegetale Contemporanea

LUCA ANDRE'
un Pioniere della Cucina Vegetale d'Alta Gamma
1983
Brianza
Vegetale Contemporanea
CURRICULUM VITAE
Luca Andrè è una figura di spicco nel panorama gastronomico italiano, riconosciuto come pioniere e innovatore nell'alta cucina vegetale. La sua carriera è profondamente radicata in una scelta etica personale: è diventato vegano nel 2001, all'età di 17 anni. Questa decisione, presa ben prima che la cucina plant-based diventasse una tendenza diffusa, ha plasmato la sua intera filosofia culinaria, orientandola verso l'innovazione, la sostenibilità e la creazione di un'esperienza gastronomica rivoluzionaria.
La sua formazione include il diploma nel 2000 presso la scuola alberghiera di San Pellegrino Terme, seguito da un "indispensabile e duro apprendistato" in importanti ristoranti stellati della Lombardia, che lo ha trasformato da "buon cuoco a eccellente chef". Ha poi approfondito la sua specializzazione in "Cucina Innovativa Gourmet e Pasticceria da Ristorazione" presso la Funny Veg Academy, dove oggi ricopre anche il ruolo di docente. Il suo impegno accademico si estende all'Università Iulm di Milano, dove è professore a contratto di "Antropologia del Cibo" e "Comunicazione e Marketing dei Luxury food", tenendo seminari anche presso l'Università Cattolica e la Bicocca. Dal 2015, svolge attività di docenza e consulenza per scuole professionali e aziende, promuovendo prodotti plant-based.
Nel 2013, Andrè ha aperto Soul Kitchen a Torino, il suo ristorante di alta cucina interamente vegetale, di cui è proprietario e chef. L'obiettivo di Soul Kitchen è dimostrare che l'eccellenza culinaria può fiorire senza ingredienti di origine animale, lasciando che siano i piatti stessi a parlare. La sua cucina è definita "la cucina dell'anima", un'esperienza profonda e rivoluzionaria che va "oltre il veganismo".
Un aspetto distintivo della sua carriera è stato il ruolo di pioniere nell'introduzione della carne vegetale stampata in 3D (prodotta da Redefine Meat) in Italia, essendo stato tra i primi a proporla nel suo menu fin dal 2021. Andrè valorizza questa tecnologia per la sua capacità di replicare texture e aspetto, pur mantenendo una "short and clean label".
La sua filosofia culinaria si manifesta in piatti che stimolano i sensi con "fragranze, ancor prima che di gusto" e "composizioni di forme e colori attraverso un'estetica di forte impatto sensoriale". Egli adotta il principio del "less is more" nell'impiattamento, creando piatti "belli, puliti, raffinati". Nonostante le sue origini brianzole, la sua cucina a Soul Kitchen reinterpreta i classici piemontesi in chiave vegetale, fondendo tecniche italiane, francesi e influenze orientali. Piatti iconici includono il "Kimchi alla piemontese", gli "Agnolotti del plin" e il dessert "Gran Torino".
Soul Kitchen è ampiamente riconosciuto come un ristorante vegano di alta qualità a Torino, ricevendo recensioni entusiastiche per la sua creatività e l'esperienza offerta. Luca Andrè è una figura rispettata nel settore, come dimostra la sua partecipazione come membro della giuria del contest di pasticceria professionale 100% vegetale "Vegâteau 2025".
In sintesi, Luca Andrè è un cuoco moderno che unisce abilità tecnica, visione etica e spirito imprenditoriale per ridefinire i confini della gastronomia, promuovendo un futuro più sostenibile e consapevole attraverso l'alta cucina vegetale.
dialoghi
Se il formato di pasta è la "struttura", il sugo ne è spesso l'anima e il carattere. Qual è la sua filosofia nella creazione dei condimenti, e come lavora per trovare l'equilibrio perfetto che valorizzi la pasta senza mai sovrastarla?
Quando diamo un nome a un determinato piatto di pasta, il sugo sottolinea la caratteristica principale: "pasta al pomodoro", "pasta al pesto"... Quindi sì, spesso il sugo ne è l’anima. Ritengo che debba esistere un rapporto di equilibrio tra salsa e formato – alcune paste si prestano più di altre all’abbinamento con determinati sughi – e che la pasta tenga sempre la consistenza masticabile principale. Qualche singolo ingrediente può dare il croccante, ma tutto il resto, come fermentazioni, salse e mantecature, non deve mai andare in sovrapposizione alla consistenza della pasta.
Quando un suo piatto di pasta viene servito al tavolo, si instaura un momento di comunicazione tra la cucina e l'ospite. Come si approccia a questo momento, e quale interazione o comprensione desidera si crei con il cliente riguardo al piatto che ha creato?
Il servizio in sala diventa un’estensione della cucina. Raccontando agli ospiti l’origine degli ingredienti e il processo di preparazione, si crea un legame emotivo e culturale con il piatto. Non si tratta solo di descrivere come è fatto, ma di trasmettere il perché di ogni scelta, dal pomodoro San Marzano infornato per dieci ore al formato di pasta selezionato per la sua tenuta di cottura.
Un dettaglio cruciale è la temperatura di servizio della pasta. Quanto è meticolosa la sua attenzione su questo aspetto e come garantisce che ogni piatto arrivi al tavolo con la temperatura ideale per esaltare aromi e consistenze?
Nel momento in cui andiamo a comporre la portata, utilizziamo sempre un piatto caldo per mantenere una temperatura calda ma non eccessiva. A questo si aggiunge un terzo elemento che è la gestione del tempo tra la cucina e il personale di sala, interagendo con grande coordinazione e sincronizzazione. Così si assicura che aromi e consistenze emergano al meglio senza disperdersi.
Rivisitare i grandi classici regionali della pasta è affascinante ma rischioso. Come affronta la sfida di reinterpretare piatti iconici, bilanciando innovazione e rispetto per la memoria gastronomica del cliente?
Rivisitare un piatto della tradizione è un vero e proprio viaggio nel tempo che le persone vivono nel profondo dei loro ricordi e delle loro emozioni. Inizialmente si individuano gli elementi comuni a tutte le versioni tradizionali – formato, ingredienti principali, consistenza – e se ne preserva l’essenza. Su questa base si innestano tecniche nuove — fermentazioni, affumicature, fermentati — per proporre un’esperienza inedita, pur mantenendo la riconoscibilità del piatto originale agli occhi e al palato dell’ospite. Con il plin ho cercato di avvicinarmi il più possibile all’umami che caratterizza il sugo di arrosto della ricetta originale, mantenendo il focus sulle sue caratteristiche originali di gusto e sapidità. Altre volte preferisco dare un’interpretazione personale, mi piace molto l’effetto sorpresa. Sempre però con l’elemento cardine della mia cucina: il vegetale.
Quanto è importante la collaborazione con il sommelier per definire gli abbinamenti liquidi ideali con i suoi piatti di pasta, e quali sfide specifiche presenta l'abbinamento tra pasta complessa e vini (o altre bevande)?
Il sommelier seleziona bottiglie in carta capaci di sposarsi con i piatti e l’abbinamento può dialogare o contrastare, valorizzando le note delicate o enfatizzando le sfaccettature più corpose. Naturalmente, alla base della proposta, consideriamo il cliente e i suoi gusti. Credo per anni siano stati messi tanti paletti nel mondo dell’abbinamento, oggi si stanno finalmente sfatando. Si diceva che con la cucina vegetale i rossi corposi e strutturati non dialogassero... parliamone!
Le esigenze e le restrizioni dietetiche sono sempre più diffuse. Come integra la necessità di offrire opzioni (senza glutine, vegane, ecc.) nel suo processo creativo legato alla pasta, mantenendo l'altissimo standard qualitativo?
La priorità è offrire opzioni senza tradire la filosofia del menu. Se un formato non esiste senza glutine, si propone un’alternativa coerente con la propria storia, un risotto al posto della pasta, o un formato differente che consenta di raccontarne ugualmente il percorso. L’obiettivo rimane mantenere tecnica, equilibrio e impatto gustativo, anche quando si lavora con vincoli stringenti.
Molti hanno un legame emotivo forte con la pasta, considerandola "comfort food". Come si trasforma e si eleva questo concetto di cibo consolatorio nel contesto raffinato e d'eccellenza di un ristorante stellato?
La familiarità della pasta offre indubbiamente una base di comfort, soprattutto per noi italiani. Se si menziona un qualsiasi formato – spaghetto, bucatino, linguina, trenetta o fusillo – chiunque è a conoscenza di che cosa stiamo parlando. L’idea è quindi sorprendere l’ospite superando le aspettative. Un piatto semplice come la pasta al pomodoro diventa un racconto di cotture, concentrazioni diverse e contrasti di consistenza, pur restando immediatamente riconoscibile.
C'è un pensiero o una filosofia dietro la scelta del nome per i suoi piatti di pasta in menu? Come un nome può anticipare o completare l'esperienza del piatto?
Sì, il nome ha la funzione di anticipare un racconto e di giocare sull’aspettativa. Così il titolo diventa parte integrante dell’esperienza, incuriosendo e preparando l’ospite a un viaggio sensoriale. In molti piatti che proponiamo, cerchiamo di iniziare la narrazione già con il nome, spesso legato agli abbinamenti, per poi cercare un finale a sorpresa.
Guardando alla sua carriera e alle sue creazioni a base di pasta, quale spera sia la sua eredità nel mondo dell'alta cucina? Quale segno distintivo vorrebbe che rimanesse associato al suo approccio alla pasta?
Il semplice fatto di poter dire “si può fare”, anche se è 100% vegetale. Mi piacerebbe che si ricordasse la cucina di Soul Kitchen come un luogo in cui si è tracciata una strada ben strutturata e percorribile, e che la cucina vegetale venga considerata allo stesso livello dell'alta gastronomia. Siamo in un periodo storico in cui anche la pasta fresca plant-based ha raggiunto alti livelli qualitativi; fino a pochi anni fa ci si approcciava solamente con la pasta secca.
Ci sono attrezzi o utensili specifici, magari legati alla tradizione o particolarmente innovativi, che considera fondamentali nel suo laboratorio per raggiungere l'eccellenza nella lavorazione della pasta?
In cucina usiamo i macchinari della tradizione e, nello specifico, sono un amante della pasta fresca estrusa, ovvero la pasta fresca prodotta per estrusione. Per esempio, i taglierini, le tagliatelle o le pappardelle che produciamo sono creati per estrusione, non partiamo mai dalla sfoglia. Questa tecnica permette di controllare spessore e porosità, conferendo al formato maggiore tenuta di cottura e capacità di trattenere il condimento. Nella pasta secca acquistata il margine di intervento è limitato alla scelta del grano, della trafila e delle tecniche di cottura per esaltarne il sapore e la consistenza.
CURRICULUM VITAE
Luca Andrè è una figura di spicco nel panorama gastronomico italiano, riconosciuto come pioniere e innovatore nell'alta cucina vegetale. La sua carriera è profondamente radicata in una scelta etica personale: è diventato vegano nel 2001, all'età di 17 anni. Questa decisione, presa ben prima che la cucina plant-based diventasse una tendenza diffusa, ha plasmato la sua intera filosofia culinaria, orientandola verso l'innovazione, la sostenibilità e la creazione di un'esperienza gastronomica rivoluzionaria.
La sua formazione include il diploma nel 2000 presso la scuola alberghiera di San Pellegrino Terme, seguito da un "indispensabile e duro apprendistato" in importanti ristoranti stellati della Lombardia, che lo ha trasformato da "buon cuoco a eccellente chef". Ha poi approfondito la sua specializzazione in "Cucina Innovativa Gourmet e Pasticceria da Ristorazione" presso la Funny Veg Academy, dove oggi ricopre anche il ruolo di docente. Il suo impegno accademico si estende all'Università Iulm di Milano, dove è professore a contratto di "Antropologia del Cibo" e "Comunicazione e Marketing dei Luxury food", tenendo seminari anche presso l'Università Cattolica e la Bicocca. Dal 2015, svolge attività di docenza e consulenza per scuole professionali e aziende, promuovendo prodotti plant-based.
Nel 2013, Andrè ha aperto Soul Kitchen a Torino, il suo ristorante di alta cucina interamente vegetale, di cui è proprietario e chef. L'obiettivo di Soul Kitchen è dimostrare che l'eccellenza culinaria può fiorire senza ingredienti di origine animale, lasciando che siano i piatti stessi a parlare. La sua cucina è definita "la cucina dell'anima", un'esperienza profonda e rivoluzionaria che va "oltre il veganismo".
Un aspetto distintivo della sua carriera è stato il ruolo di pioniere nell'introduzione della carne vegetale stampata in 3D (prodotta da Redefine Meat) in Italia, essendo stato tra i primi a proporla nel suo menu fin dal 2021. Andrè valorizza questa tecnologia per la sua capacità di replicare texture e aspetto, pur mantenendo una "short and clean label".
La sua filosofia culinaria si manifesta in piatti che stimolano i sensi con "fragranze, ancor prima che di gusto" e "composizioni di forme e colori attraverso un'estetica di forte impatto sensoriale". Egli adotta il principio del "less is more" nell'impiattamento, creando piatti "belli, puliti, raffinati". Nonostante le sue origini brianzole, la sua cucina a Soul Kitchen reinterpreta i classici piemontesi in chiave vegetale, fondendo tecniche italiane, francesi e influenze orientali. Piatti iconici includono il "Kimchi alla piemontese", gli "Agnolotti del plin" e il dessert "Gran Torino".
Soul Kitchen è ampiamente riconosciuto come un ristorante vegano di alta qualità a Torino, ricevendo recensioni entusiastiche per la sua creatività e l'esperienza offerta. Luca Andrè è una figura rispettata nel settore, come dimostra la sua partecipazione come membro della giuria del contest di pasticceria professionale 100% vegetale "Vegâteau 2025".
In sintesi, Luca Andrè è un cuoco moderno che unisce abilità tecnica, visione etica e spirito imprenditoriale per ridefinire i confini della gastronomia, promuovendo un futuro più sostenibile e consapevole attraverso l'alta cucina vegetale.
dialoghi
Se il formato di pasta è la "struttura", il sugo ne è spesso l'anima e il carattere. Qual è la sua filosofia nella creazione dei condimenti, e come lavora per trovare l'equilibrio perfetto che valorizzi la pasta senza mai sovrastarla?
Quando diamo un nome a un determinato piatto di pasta, il sugo sottolinea la caratteristica principale: "pasta al pomodoro", "pasta al pesto"... Quindi sì, spesso il sugo ne è l’anima. Ritengo che debba esistere un rapporto di equilibrio tra salsa e formato – alcune paste si prestano più di altre all’abbinamento con determinati sughi – e che la pasta tenga sempre la consistenza masticabile principale. Qualche singolo ingrediente può dare il croccante, ma tutto il resto, come fermentazioni, salse e mantecature, non deve mai andare in sovrapposizione alla consistenza della pasta.
Quando un suo piatto di pasta viene servito al tavolo, si instaura un momento di comunicazione tra la cucina e l'ospite. Come si approccia a questo momento, e quale interazione o comprensione desidera si crei con il cliente riguardo al piatto che ha creato?
Il servizio in sala diventa un’estensione della cucina. Raccontando agli ospiti l’origine degli ingredienti e il processo di preparazione, si crea un legame emotivo e culturale con il piatto. Non si tratta solo di descrivere come è fatto, ma di trasmettere il perché di ogni scelta, dal pomodoro San Marzano infornato per dieci ore al formato di pasta selezionato per la sua tenuta di cottura.
Un dettaglio cruciale è la temperatura di servizio della pasta. Quanto è meticolosa la sua attenzione su questo aspetto e come garantisce che ogni piatto arrivi al tavolo con la temperatura ideale per esaltare aromi e consistenze?
Nel momento in cui andiamo a comporre la portata, utilizziamo sempre un piatto caldo per mantenere una temperatura calda ma non eccessiva. A questo si aggiunge un terzo elemento che è la gestione del tempo tra la cucina e il personale di sala, interagendo con grande coordinazione e sincronizzazione. Così si assicura che aromi e consistenze emergano al meglio senza disperdersi.
Rivisitare i grandi classici regionali della pasta è affascinante ma rischioso. Come affronta la sfida di reinterpretare piatti iconici, bilanciando innovazione e rispetto per la memoria gastronomica del cliente?
Rivisitare un piatto della tradizione è un vero e proprio viaggio nel tempo che le persone vivono nel profondo dei loro ricordi e delle loro emozioni. Inizialmente si individuano gli elementi comuni a tutte le versioni tradizionali – formato, ingredienti principali, consistenza – e se ne preserva l’essenza. Su questa base si innestano tecniche nuove — fermentazioni, affumicature, fermentati — per proporre un’esperienza inedita, pur mantenendo la riconoscibilità del piatto originale agli occhi e al palato dell’ospite. Con il plin ho cercato di avvicinarmi il più possibile all’umami che caratterizza il sugo di arrosto della ricetta originale, mantenendo il focus sulle sue caratteristiche originali di gusto e sapidità. Altre volte preferisco dare un’interpretazione personale, mi piace molto l’effetto sorpresa. Sempre però con l’elemento cardine della mia cucina: il vegetale.
Quanto è importante la collaborazione con il sommelier per definire gli abbinamenti liquidi ideali con i suoi piatti di pasta, e quali sfide specifiche presenta l'abbinamento tra pasta complessa e vini (o altre bevande)?
Il sommelier seleziona bottiglie in carta capaci di sposarsi con i piatti e l’abbinamento può dialogare o contrastare, valorizzando le note delicate o enfatizzando le sfaccettature più corpose. Naturalmente, alla base della proposta, consideriamo il cliente e i suoi gusti. Credo per anni siano stati messi tanti paletti nel mondo dell’abbinamento, oggi si stanno finalmente sfatando. Si diceva che con la cucina vegetale i rossi corposi e strutturati non dialogassero... parliamone!
Le esigenze e le restrizioni dietetiche sono sempre più diffuse. Come integra la necessità di offrire opzioni (senza glutine, vegane, ecc.) nel suo processo creativo legato alla pasta, mantenendo l'altissimo standard qualitativo?
La priorità è offrire opzioni senza tradire la filosofia del menu. Se un formato non esiste senza glutine, si propone un’alternativa coerente con la propria storia, un risotto al posto della pasta, o un formato differente che consenta di raccontarne ugualmente il percorso. L’obiettivo rimane mantenere tecnica, equilibrio e impatto gustativo, anche quando si lavora con vincoli stringenti.
Molti hanno un legame emotivo forte con la pasta, considerandola "comfort food". Come si trasforma e si eleva questo concetto di cibo consolatorio nel contesto raffinato e d'eccellenza di un ristorante stellato?
La familiarità della pasta offre indubbiamente una base di comfort, soprattutto per noi italiani. Se si menziona un qualsiasi formato – spaghetto, bucatino, linguina, trenetta o fusillo – chiunque è a conoscenza di che cosa stiamo parlando. L’idea è quindi sorprendere l’ospite superando le aspettative. Un piatto semplice come la pasta al pomodoro diventa un racconto di cotture, concentrazioni diverse e contrasti di consistenza, pur restando immediatamente riconoscibile.
C'è un pensiero o una filosofia dietro la scelta del nome per i suoi piatti di pasta in menu? Come un nome può anticipare o completare l'esperienza del piatto?
Sì, il nome ha la funzione di anticipare un racconto e di giocare sull’aspettativa. Così il titolo diventa parte integrante dell’esperienza, incuriosendo e preparando l’ospite a un viaggio sensoriale. In molti piatti che proponiamo, cerchiamo di iniziare la narrazione già con il nome, spesso legato agli abbinamenti, per poi cercare un finale a sorpresa.
Guardando alla sua carriera e alle sue creazioni a base di pasta, quale spera sia la sua eredità nel mondo dell'alta cucina? Quale segno distintivo vorrebbe che rimanesse associato al suo approccio alla pasta?
Il semplice fatto di poter dire “si può fare”, anche se è 100% vegetale. Mi piacerebbe che si ricordasse la cucina di Soul Kitchen come un luogo in cui si è tracciata una strada ben strutturata e percorribile, e che la cucina vegetale venga considerata allo stesso livello dell'alta gastronomia. Siamo in un periodo storico in cui anche la pasta fresca plant-based ha raggiunto alti livelli qualitativi; fino a pochi anni fa ci si approcciava solamente con la pasta secca.
Ci sono attrezzi o utensili specifici, magari legati alla tradizione o particolarmente innovativi, che considera fondamentali nel suo laboratorio per raggiungere l'eccellenza nella lavorazione della pasta?
In cucina usiamo i macchinari della tradizione e, nello specifico, sono un amante della pasta fresca estrusa, ovvero la pasta fresca prodotta per estrusione. Per esempio, i taglierini, le tagliatelle o le pappardelle che produciamo sono creati per estrusione, non partiamo mai dalla sfoglia. Questa tecnica permette di controllare spessore e porosità, conferendo al formato maggiore tenuta di cottura e capacità di trattenere il condimento. Nella pasta secca acquistata il margine di intervento è limitato alla scelta del grano, della trafila e delle tecniche di cottura per esaltarne il sapore e la consistenza.
CURRICULUM VITAE
Luca Andrè è una figura di spicco nel panorama gastronomico italiano, riconosciuto come pioniere e innovatore nell'alta cucina vegetale. La sua carriera è profondamente radicata in una scelta etica personale: è diventato vegano nel 2001, all'età di 17 anni. Questa decisione, presa ben prima che la cucina plant-based diventasse una tendenza diffusa, ha plasmato la sua intera filosofia culinaria, orientandola verso l'innovazione, la sostenibilità e la creazione di un'esperienza gastronomica rivoluzionaria.
La sua formazione include il diploma nel 2000 presso la scuola alberghiera di San Pellegrino Terme, seguito da un "indispensabile e duro apprendistato" in importanti ristoranti stellati della Lombardia, che lo ha trasformato da "buon cuoco a eccellente chef". Ha poi approfondito la sua specializzazione in "Cucina Innovativa Gourmet e Pasticceria da Ristorazione" presso la Funny Veg Academy, dove oggi ricopre anche il ruolo di docente. Il suo impegno accademico si estende all'Università Iulm di Milano, dove è professore a contratto di "Antropologia del Cibo" e "Comunicazione e Marketing dei Luxury food", tenendo seminari anche presso l'Università Cattolica e la Bicocca. Dal 2015, svolge attività di docenza e consulenza per scuole professionali e aziende, promuovendo prodotti plant-based.
Nel 2013, Andrè ha aperto Soul Kitchen a Torino, il suo ristorante di alta cucina interamente vegetale, di cui è proprietario e chef. L'obiettivo di Soul Kitchen è dimostrare che l'eccellenza culinaria può fiorire senza ingredienti di origine animale, lasciando che siano i piatti stessi a parlare. La sua cucina è definita "la cucina dell'anima", un'esperienza profonda e rivoluzionaria che va "oltre il veganismo".
Un aspetto distintivo della sua carriera è stato il ruolo di pioniere nell'introduzione della carne vegetale stampata in 3D (prodotta da Redefine Meat) in Italia, essendo stato tra i primi a proporla nel suo menu fin dal 2021. Andrè valorizza questa tecnologia per la sua capacità di replicare texture e aspetto, pur mantenendo una "short and clean label".
La sua filosofia culinaria si manifesta in piatti che stimolano i sensi con "fragranze, ancor prima che di gusto" e "composizioni di forme e colori attraverso un'estetica di forte impatto sensoriale". Egli adotta il principio del "less is more" nell'impiattamento, creando piatti "belli, puliti, raffinati". Nonostante le sue origini brianzole, la sua cucina a Soul Kitchen reinterpreta i classici piemontesi in chiave vegetale, fondendo tecniche italiane, francesi e influenze orientali. Piatti iconici includono il "Kimchi alla piemontese", gli "Agnolotti del plin" e il dessert "Gran Torino".
Soul Kitchen è ampiamente riconosciuto come un ristorante vegano di alta qualità a Torino, ricevendo recensioni entusiastiche per la sua creatività e l'esperienza offerta. Luca Andrè è una figura rispettata nel settore, come dimostra la sua partecipazione come membro della giuria del contest di pasticceria professionale 100% vegetale "Vegâteau 2025".
In sintesi, Luca Andrè è un cuoco moderno che unisce abilità tecnica, visione etica e spirito imprenditoriale per ridefinire i confini della gastronomia, promuovendo un futuro più sostenibile e consapevole attraverso l'alta cucina vegetale.
dialoghi
Se il formato di pasta è la "struttura", il sugo ne è spesso l'anima e il carattere. Qual è la sua filosofia nella creazione dei condimenti, e come lavora per trovare l'equilibrio perfetto che valorizzi la pasta senza mai sovrastarla?
Quando diamo un nome a un determinato piatto di pasta, il sugo sottolinea la caratteristica principale: "pasta al pomodoro", "pasta al pesto"... Quindi sì, spesso il sugo ne è l’anima. Ritengo che debba esistere un rapporto di equilibrio tra salsa e formato – alcune paste si prestano più di altre all’abbinamento con determinati sughi – e che la pasta tenga sempre la consistenza masticabile principale. Qualche singolo ingrediente può dare il croccante, ma tutto il resto, come fermentazioni, salse e mantecature, non deve mai andare in sovrapposizione alla consistenza della pasta.
Quando un suo piatto di pasta viene servito al tavolo, si instaura un momento di comunicazione tra la cucina e l'ospite. Come si approccia a questo momento, e quale interazione o comprensione desidera si crei con il cliente riguardo al piatto che ha creato?
Il servizio in sala diventa un’estensione della cucina. Raccontando agli ospiti l’origine degli ingredienti e il processo di preparazione, si crea un legame emotivo e culturale con il piatto. Non si tratta solo di descrivere come è fatto, ma di trasmettere il perché di ogni scelta, dal pomodoro San Marzano infornato per dieci ore al formato di pasta selezionato per la sua tenuta di cottura.
Un dettaglio cruciale è la temperatura di servizio della pasta. Quanto è meticolosa la sua attenzione su questo aspetto e come garantisce che ogni piatto arrivi al tavolo con la temperatura ideale per esaltare aromi e consistenze?
Nel momento in cui andiamo a comporre la portata, utilizziamo sempre un piatto caldo per mantenere una temperatura calda ma non eccessiva. A questo si aggiunge un terzo elemento che è la gestione del tempo tra la cucina e il personale di sala, interagendo con grande coordinazione e sincronizzazione. Così si assicura che aromi e consistenze emergano al meglio senza disperdersi.
Rivisitare i grandi classici regionali della pasta è affascinante ma rischioso. Come affronta la sfida di reinterpretare piatti iconici, bilanciando innovazione e rispetto per la memoria gastronomica del cliente?
Rivisitare un piatto della tradizione è un vero e proprio viaggio nel tempo che le persone vivono nel profondo dei loro ricordi e delle loro emozioni. Inizialmente si individuano gli elementi comuni a tutte le versioni tradizionali – formato, ingredienti principali, consistenza – e se ne preserva l’essenza. Su questa base si innestano tecniche nuove — fermentazioni, affumicature, fermentati — per proporre un’esperienza inedita, pur mantenendo la riconoscibilità del piatto originale agli occhi e al palato dell’ospite. Con il plin ho cercato di avvicinarmi il più possibile all’umami che caratterizza il sugo di arrosto della ricetta originale, mantenendo il focus sulle sue caratteristiche originali di gusto e sapidità. Altre volte preferisco dare un’interpretazione personale, mi piace molto l’effetto sorpresa. Sempre però con l’elemento cardine della mia cucina: il vegetale.
Quanto è importante la collaborazione con il sommelier per definire gli abbinamenti liquidi ideali con i suoi piatti di pasta, e quali sfide specifiche presenta l'abbinamento tra pasta complessa e vini (o altre bevande)?
Il sommelier seleziona bottiglie in carta capaci di sposarsi con i piatti e l’abbinamento può dialogare o contrastare, valorizzando le note delicate o enfatizzando le sfaccettature più corpose. Naturalmente, alla base della proposta, consideriamo il cliente e i suoi gusti. Credo per anni siano stati messi tanti paletti nel mondo dell’abbinamento, oggi si stanno finalmente sfatando. Si diceva che con la cucina vegetale i rossi corposi e strutturati non dialogassero... parliamone!
Le esigenze e le restrizioni dietetiche sono sempre più diffuse. Come integra la necessità di offrire opzioni (senza glutine, vegane, ecc.) nel suo processo creativo legato alla pasta, mantenendo l'altissimo standard qualitativo?
La priorità è offrire opzioni senza tradire la filosofia del menu. Se un formato non esiste senza glutine, si propone un’alternativa coerente con la propria storia, un risotto al posto della pasta, o un formato differente che consenta di raccontarne ugualmente il percorso. L’obiettivo rimane mantenere tecnica, equilibrio e impatto gustativo, anche quando si lavora con vincoli stringenti.
Molti hanno un legame emotivo forte con la pasta, considerandola "comfort food". Come si trasforma e si eleva questo concetto di cibo consolatorio nel contesto raffinato e d'eccellenza di un ristorante stellato?
La familiarità della pasta offre indubbiamente una base di comfort, soprattutto per noi italiani. Se si menziona un qualsiasi formato – spaghetto, bucatino, linguina, trenetta o fusillo – chiunque è a conoscenza di che cosa stiamo parlando. L’idea è quindi sorprendere l’ospite superando le aspettative. Un piatto semplice come la pasta al pomodoro diventa un racconto di cotture, concentrazioni diverse e contrasti di consistenza, pur restando immediatamente riconoscibile.
C'è un pensiero o una filosofia dietro la scelta del nome per i suoi piatti di pasta in menu? Come un nome può anticipare o completare l'esperienza del piatto?
Sì, il nome ha la funzione di anticipare un racconto e di giocare sull’aspettativa. Così il titolo diventa parte integrante dell’esperienza, incuriosendo e preparando l’ospite a un viaggio sensoriale. In molti piatti che proponiamo, cerchiamo di iniziare la narrazione già con il nome, spesso legato agli abbinamenti, per poi cercare un finale a sorpresa.
Guardando alla sua carriera e alle sue creazioni a base di pasta, quale spera sia la sua eredità nel mondo dell'alta cucina? Quale segno distintivo vorrebbe che rimanesse associato al suo approccio alla pasta?
Il semplice fatto di poter dire “si può fare”, anche se è 100% vegetale. Mi piacerebbe che si ricordasse la cucina di Soul Kitchen come un luogo in cui si è tracciata una strada ben strutturata e percorribile, e che la cucina vegetale venga considerata allo stesso livello dell'alta gastronomia. Siamo in un periodo storico in cui anche la pasta fresca plant-based ha raggiunto alti livelli qualitativi; fino a pochi anni fa ci si approcciava solamente con la pasta secca.
Ci sono attrezzi o utensili specifici, magari legati alla tradizione o particolarmente innovativi, che considera fondamentali nel suo laboratorio per raggiungere l'eccellenza nella lavorazione della pasta?
In cucina usiamo i macchinari della tradizione e, nello specifico, sono un amante della pasta fresca estrusa, ovvero la pasta fresca prodotta per estrusione. Per esempio, i taglierini, le tagliatelle o le pappardelle che produciamo sono creati per estrusione, non partiamo mai dalla sfoglia. Questa tecnica permette di controllare spessore e porosità, conferendo al formato maggiore tenuta di cottura e capacità di trattenere il condimento. Nella pasta secca acquistata il margine di intervento è limitato alla scelta del grano, della trafila e delle tecniche di cottura per esaltarne il sapore e la consistenza.