


CURRICULUM VITAE
Luca Ludovici, la cucina che nasce nella grotta: il rinascimento gastronomico di Frascati
Classe 1986, originario di Fiuggi, Luca Ludovici è uno degli chef più interessanti della nuova scena gastronomica laziale. Formatosi alla Scuola di Gualtiero Marchesi, ha fatto propri i principi fondamentali del maestro: rispetto rigoroso per la materia prima e rifiuto di ogni orpello tecnico che ne alteri l’essenza.
Dopo diverse esperienze di rilievo – tra cui il ruolo di Executive Chef a L’Osteria di Birra del Borgo e quello di chef al Liòn di Roma – nel marzo 2022 Ludovici ha inaugurato a Frascati, insieme alla compagna Lorena Cavana, il ristorante ConTatto. Il progetto si distingue subito per una caratteristica unica: una grotta sotterranea di 170 metri, trasformata in laboratorio di trasformazione, conservazione e maturazione degli ingredienti.
Qui prende forma la filosofia del “chilometro sotto zero”: un’estensione radicale del concetto di localismo, che non si limita alla filiera corta ma scende letteralmente in profondità. Nella grotta, Ludovici sperimenta fermentazioni, affinamenti e tecniche di conservazione ancestrali, in un equilibrio calibrato tra tradizione e innovazione. A questo si affianca una marcata attenzione alla sostenibilità, con un approccio “zero sprechi” applicato con coerenza e creatività.
Il risultato è una cucina in costante evoluzione, dove la tecnica moderna si intreccia a gesti primordiali e sapienze antiche. Un’identità gastronomica solida, originale, che ha già ottenuto importanti riconoscimenti, tra cui l’ingresso nella Guida Michelin 2023.
Con il suo lavoro a ConTatto, Ludovici si fa portavoce di una nuova sensibilità: una cucina pensata, sostenibile, legata al territorio ma proiettata al futuro. E soprattutto, radicata nella terra — nel senso più letterale del termine. Frascati e i Castelli Romani, grazie a lui, tornano oggi protagonisti di una scena gastronomica che guarda avanti senza dimenticare le proprie origini.
dialoghi
Che rapporto ha con la pasta fresca?
Bellissimo, mi ricordo ancora quando da piccolo la rubavo; è un qualcosa che lego sentimentalmente all’infanzia, a mia mamma e a mia nonna che la preparavano nei momenti conviviali. Era tradizione mangiare 'sagne' (un formato di pasta simile ai maltagliati, ma più lungo) e fagioli o i tagliolini paglia e fieno. Oggi, quella tradizione rivive nel mio menu, sotto forma di gnocchetti di Fiuggi, a base di acqua e farina, oppure dei cappelletti, che preparo con un ripieno di coniglio alla cacciatora.
Tornando indietro nel tempo, c'è un sapore, un profumo, o un momento particolare legato a un piatto di pasta dell'infanzia che porta ancora con sé e che, forse inconsapevolmente, riemerge nelle sue creazioni attuali?
Sì, la pasta al gratin di mia mamma. Preparava gli ziti spezzati con prosciutto cotto e besciamella e li gratinava in forno. È una ricetta che mi manca molto, perché la preparava solo lei. Era un modo intelligente per riproporre gli ingredienti d’avanzo dei giorni precedenti. Non ho mai pensato di rifarla, ma mi piacerebbe. Magari in un prossimo futuro.
Al di là della cottura "al dente", quale importanza riveste per lei la percezione tattile, la "texture", della pasta e dei suoi condimenti nel creare un'esperienza gastronomica completa e memorabile?
Per me la texture della pasta è importante. Ogni tipologia di pasta ha la sua: la pasta all’uovo è elastica, mentre la pasta fresca a base di acqua e farina è dura, così come quella di semola e la secca è al dente. Proprio perché ogni pasta è molto diversa dalle altre, ognuna necessita di un condimento differente.
Come si integra e dialoga un piatto di pasta all'interno della sequenza complessiva di un menu degustazione nel suo ristorante? Che funzione ha all'interno del percorso narrativo che propone?
Nel mio menu la pasta ha sempre un ruolo centrale. Non c’è menu in cui non ci siano due-tre piatti di pasta. Anche all’interno del percorso degustazione è centrale, poiché viene servita, come da canoni, tra antipasti e secondi.
Può raccontare di qualche sperimentazione particolarmente audace o di sfide incontrate lavorando la pasta che, pur non essendo entrate in menu, le hanno lasciato insegnamenti preziosi?
Proprio recentemente, mi è capitato di inserire in un menu, vegetariano, lo Spaghettino Matt di Monograno Felicetti che faccio reidratare in acqua per un’ora. Quindi, lo risotto in padella con acqua di pomodoro. Il risultato è uno spaghetto in bianco, dall’intenso e inaspettato gusto di pomodoro.
Quando serve i suoi piatti di pasta a una clientela internazionale, come gestisce le diverse aspettative e le percezioni globali – a volte stereotipate – legate alla pasta italiana?
Nel mio ristorante la pasta è sempre richiesta, da italiani e stranieri. Quando servo i miei piatti di pasta a una clientela internazionale, per me non fa differenza. Non snaturo le mie ricette per un pubblico diverso, perché è proprio il pubblico stesso ad avere la curiosità di assaggiare piatti dal gusto italiano.
In quanto chef italiano, sente una particolare responsabilità nel rappresentare ed elevare l'immagine della pasta italiana nel mondo?
Assolutamente sì. Credo che la pasta rappresenti un veicolo per raccontare la cultura e i prodotti italiani. La particolarità dell’Italia è che ogni regione, anzi ogni paese, ogni casa, ha una ricetta diversa per fare la pasta, sia in termini di impasto che di ripieno. Abbiamo una biodiversità gastronomica che a volte diamo per scontata, ma non lo è assolutamente. Bisogna preservare il più possibile queste tradizioni.
Quanto è importante per lei l'aspetto visivo del piatto di pasta? Come la scelta del formato, del condimento e del piatto stesso contribuiscono all'armonia estetica e all'esperienza complessiva?
L’aspetto visivo è per me importante tanto quanto quello gustativo. Un piatto dev’essere bello e buono al tempo stesso, perché si mangia prima di tutto con gli occhi. Come dicevo prima, il condimento è fondamentale in un piatto di pasta, sia in termini di quantità che di varietà. Ci sono sughi, come l’amatriciana o aglio olio e peperoncino, più adatti per una pasta lunga, altri, come burro e salvia, più adatti per la pasta ripiena, perché il ripieno è già di per sé ricco. Anche il piatto stesso contribuisce alla creazione dell’esperienza. Solitamente, prediligo la fondina, perché è perfetta per raccogliere la salsa; in altri casi, è più indicato l’utilizzo del piatto piano.
Nel suo approccio alla pasta, quale bilanciamento ricerca tra le tecniche di produzione artigianale, magari apprese dalla tradizione, e l'utilizzo di attrezzature e metodologie più moderne?
Nella mia cucina c’è davvero poco spazio per attrezzature moderne, perché amo lavorare i prodotti ancora artigianalmente. La pasta, ad esempio, la faccio a mano e la tiro con uno strumento meccanico.
Ci sono ingredienti o abbinamenti non convenzionali che ha sperimentato o integrato nei suoi piatti di pasta, uscendo dai canoni più classici, e con quale risultato?
Sì, un tempo avevo in menu l’amatriciana dolce, come pre-dessert. Era uno spaghettino cotto in acqua, sale, zucchero e finocchietto (court bouillon dolce), accompagnato da guanciale, polvere di pomodoro, pecorino dolce e sciroppo d’acero, che avevo scelto perché ricordava, assieme al guanciale, il bacon americano.
CURRICULUM VITAE
Luca Ludovici, la cucina che nasce nella grotta: il rinascimento gastronomico di Frascati
Classe 1986, originario di Fiuggi, Luca Ludovici è uno degli chef più interessanti della nuova scena gastronomica laziale. Formatosi alla Scuola di Gualtiero Marchesi, ha fatto propri i principi fondamentali del maestro: rispetto rigoroso per la materia prima e rifiuto di ogni orpello tecnico che ne alteri l’essenza.
Dopo diverse esperienze di rilievo – tra cui il ruolo di Executive Chef a L’Osteria di Birra del Borgo e quello di chef al Liòn di Roma – nel marzo 2022 Ludovici ha inaugurato a Frascati, insieme alla compagna Lorena Cavana, il ristorante ConTatto. Il progetto si distingue subito per una caratteristica unica: una grotta sotterranea di 170 metri, trasformata in laboratorio di trasformazione, conservazione e maturazione degli ingredienti.
Qui prende forma la filosofia del “chilometro sotto zero”: un’estensione radicale del concetto di localismo, che non si limita alla filiera corta ma scende letteralmente in profondità. Nella grotta, Ludovici sperimenta fermentazioni, affinamenti e tecniche di conservazione ancestrali, in un equilibrio calibrato tra tradizione e innovazione. A questo si affianca una marcata attenzione alla sostenibilità, con un approccio “zero sprechi” applicato con coerenza e creatività.
Il risultato è una cucina in costante evoluzione, dove la tecnica moderna si intreccia a gesti primordiali e sapienze antiche. Un’identità gastronomica solida, originale, che ha già ottenuto importanti riconoscimenti, tra cui l’ingresso nella Guida Michelin 2023.
Con il suo lavoro a ConTatto, Ludovici si fa portavoce di una nuova sensibilità: una cucina pensata, sostenibile, legata al territorio ma proiettata al futuro. E soprattutto, radicata nella terra — nel senso più letterale del termine. Frascati e i Castelli Romani, grazie a lui, tornano oggi protagonisti di una scena gastronomica che guarda avanti senza dimenticare le proprie origini.
dialoghi
Che rapporto ha con la pasta fresca?
Bellissimo, mi ricordo ancora quando da piccolo la rubavo; è un qualcosa che lego sentimentalmente all’infanzia, a mia mamma e a mia nonna che la preparavano nei momenti conviviali. Era tradizione mangiare 'sagne' (un formato di pasta simile ai maltagliati, ma più lungo) e fagioli o i tagliolini paglia e fieno. Oggi, quella tradizione rivive nel mio menu, sotto forma di gnocchetti di Fiuggi, a base di acqua e farina, oppure dei cappelletti, che preparo con un ripieno di coniglio alla cacciatora.
Tornando indietro nel tempo, c'è un sapore, un profumo, o un momento particolare legato a un piatto di pasta dell'infanzia che porta ancora con sé e che, forse inconsapevolmente, riemerge nelle sue creazioni attuali?
Sì, la pasta al gratin di mia mamma. Preparava gli ziti spezzati con prosciutto cotto e besciamella e li gratinava in forno. È una ricetta che mi manca molto, perché la preparava solo lei. Era un modo intelligente per riproporre gli ingredienti d’avanzo dei giorni precedenti. Non ho mai pensato di rifarla, ma mi piacerebbe. Magari in un prossimo futuro.
Al di là della cottura "al dente", quale importanza riveste per lei la percezione tattile, la "texture", della pasta e dei suoi condimenti nel creare un'esperienza gastronomica completa e memorabile?
Per me la texture della pasta è importante. Ogni tipologia di pasta ha la sua: la pasta all’uovo è elastica, mentre la pasta fresca a base di acqua e farina è dura, così come quella di semola e la secca è al dente. Proprio perché ogni pasta è molto diversa dalle altre, ognuna necessita di un condimento differente.
Come si integra e dialoga un piatto di pasta all'interno della sequenza complessiva di un menu degustazione nel suo ristorante? Che funzione ha all'interno del percorso narrativo che propone?
Nel mio menu la pasta ha sempre un ruolo centrale. Non c’è menu in cui non ci siano due-tre piatti di pasta. Anche all’interno del percorso degustazione è centrale, poiché viene servita, come da canoni, tra antipasti e secondi.
Può raccontare di qualche sperimentazione particolarmente audace o di sfide incontrate lavorando la pasta che, pur non essendo entrate in menu, le hanno lasciato insegnamenti preziosi?
Proprio recentemente, mi è capitato di inserire in un menu, vegetariano, lo Spaghettino Matt di Monograno Felicetti che faccio reidratare in acqua per un’ora. Quindi, lo risotto in padella con acqua di pomodoro. Il risultato è uno spaghetto in bianco, dall’intenso e inaspettato gusto di pomodoro.
Quando serve i suoi piatti di pasta a una clientela internazionale, come gestisce le diverse aspettative e le percezioni globali – a volte stereotipate – legate alla pasta italiana?
Nel mio ristorante la pasta è sempre richiesta, da italiani e stranieri. Quando servo i miei piatti di pasta a una clientela internazionale, per me non fa differenza. Non snaturo le mie ricette per un pubblico diverso, perché è proprio il pubblico stesso ad avere la curiosità di assaggiare piatti dal gusto italiano.
In quanto chef italiano, sente una particolare responsabilità nel rappresentare ed elevare l'immagine della pasta italiana nel mondo?
Assolutamente sì. Credo che la pasta rappresenti un veicolo per raccontare la cultura e i prodotti italiani. La particolarità dell’Italia è che ogni regione, anzi ogni paese, ogni casa, ha una ricetta diversa per fare la pasta, sia in termini di impasto che di ripieno. Abbiamo una biodiversità gastronomica che a volte diamo per scontata, ma non lo è assolutamente. Bisogna preservare il più possibile queste tradizioni.
Quanto è importante per lei l'aspetto visivo del piatto di pasta? Come la scelta del formato, del condimento e del piatto stesso contribuiscono all'armonia estetica e all'esperienza complessiva?
L’aspetto visivo è per me importante tanto quanto quello gustativo. Un piatto dev’essere bello e buono al tempo stesso, perché si mangia prima di tutto con gli occhi. Come dicevo prima, il condimento è fondamentale in un piatto di pasta, sia in termini di quantità che di varietà. Ci sono sughi, come l’amatriciana o aglio olio e peperoncino, più adatti per una pasta lunga, altri, come burro e salvia, più adatti per la pasta ripiena, perché il ripieno è già di per sé ricco. Anche il piatto stesso contribuisce alla creazione dell’esperienza. Solitamente, prediligo la fondina, perché è perfetta per raccogliere la salsa; in altri casi, è più indicato l’utilizzo del piatto piano.
Nel suo approccio alla pasta, quale bilanciamento ricerca tra le tecniche di produzione artigianale, magari apprese dalla tradizione, e l'utilizzo di attrezzature e metodologie più moderne?
Nella mia cucina c’è davvero poco spazio per attrezzature moderne, perché amo lavorare i prodotti ancora artigianalmente. La pasta, ad esempio, la faccio a mano e la tiro con uno strumento meccanico.
Ci sono ingredienti o abbinamenti non convenzionali che ha sperimentato o integrato nei suoi piatti di pasta, uscendo dai canoni più classici, e con quale risultato?
Sì, un tempo avevo in menu l’amatriciana dolce, come pre-dessert. Era uno spaghettino cotto in acqua, sale, zucchero e finocchietto (court bouillon dolce), accompagnato da guanciale, polvere di pomodoro, pecorino dolce e sciroppo d’acero, che avevo scelto perché ricordava, assieme al guanciale, il bacon americano.
CURRICULUM VITAE
Luca Ludovici, la cucina che nasce nella grotta: il rinascimento gastronomico di Frascati
Classe 1986, originario di Fiuggi, Luca Ludovici è uno degli chef più interessanti della nuova scena gastronomica laziale. Formatosi alla Scuola di Gualtiero Marchesi, ha fatto propri i principi fondamentali del maestro: rispetto rigoroso per la materia prima e rifiuto di ogni orpello tecnico che ne alteri l’essenza.
Dopo diverse esperienze di rilievo – tra cui il ruolo di Executive Chef a L’Osteria di Birra del Borgo e quello di chef al Liòn di Roma – nel marzo 2022 Ludovici ha inaugurato a Frascati, insieme alla compagna Lorena Cavana, il ristorante ConTatto. Il progetto si distingue subito per una caratteristica unica: una grotta sotterranea di 170 metri, trasformata in laboratorio di trasformazione, conservazione e maturazione degli ingredienti.
Qui prende forma la filosofia del “chilometro sotto zero”: un’estensione radicale del concetto di localismo, che non si limita alla filiera corta ma scende letteralmente in profondità. Nella grotta, Ludovici sperimenta fermentazioni, affinamenti e tecniche di conservazione ancestrali, in un equilibrio calibrato tra tradizione e innovazione. A questo si affianca una marcata attenzione alla sostenibilità, con un approccio “zero sprechi” applicato con coerenza e creatività.
Il risultato è una cucina in costante evoluzione, dove la tecnica moderna si intreccia a gesti primordiali e sapienze antiche. Un’identità gastronomica solida, originale, che ha già ottenuto importanti riconoscimenti, tra cui l’ingresso nella Guida Michelin 2023.
Con il suo lavoro a ConTatto, Ludovici si fa portavoce di una nuova sensibilità: una cucina pensata, sostenibile, legata al territorio ma proiettata al futuro. E soprattutto, radicata nella terra — nel senso più letterale del termine. Frascati e i Castelli Romani, grazie a lui, tornano oggi protagonisti di una scena gastronomica che guarda avanti senza dimenticare le proprie origini.
dialoghi
Che rapporto ha con la pasta fresca?
Bellissimo, mi ricordo ancora quando da piccolo la rubavo; è un qualcosa che lego sentimentalmente all’infanzia, a mia mamma e a mia nonna che la preparavano nei momenti conviviali. Era tradizione mangiare 'sagne' (un formato di pasta simile ai maltagliati, ma più lungo) e fagioli o i tagliolini paglia e fieno. Oggi, quella tradizione rivive nel mio menu, sotto forma di gnocchetti di Fiuggi, a base di acqua e farina, oppure dei cappelletti, che preparo con un ripieno di coniglio alla cacciatora.
Tornando indietro nel tempo, c'è un sapore, un profumo, o un momento particolare legato a un piatto di pasta dell'infanzia che porta ancora con sé e che, forse inconsapevolmente, riemerge nelle sue creazioni attuali?
Sì, la pasta al gratin di mia mamma. Preparava gli ziti spezzati con prosciutto cotto e besciamella e li gratinava in forno. È una ricetta che mi manca molto, perché la preparava solo lei. Era un modo intelligente per riproporre gli ingredienti d’avanzo dei giorni precedenti. Non ho mai pensato di rifarla, ma mi piacerebbe. Magari in un prossimo futuro.
Al di là della cottura "al dente", quale importanza riveste per lei la percezione tattile, la "texture", della pasta e dei suoi condimenti nel creare un'esperienza gastronomica completa e memorabile?
Per me la texture della pasta è importante. Ogni tipologia di pasta ha la sua: la pasta all’uovo è elastica, mentre la pasta fresca a base di acqua e farina è dura, così come quella di semola e la secca è al dente. Proprio perché ogni pasta è molto diversa dalle altre, ognuna necessita di un condimento differente.
Come si integra e dialoga un piatto di pasta all'interno della sequenza complessiva di un menu degustazione nel suo ristorante? Che funzione ha all'interno del percorso narrativo che propone?
Nel mio menu la pasta ha sempre un ruolo centrale. Non c’è menu in cui non ci siano due-tre piatti di pasta. Anche all’interno del percorso degustazione è centrale, poiché viene servita, come da canoni, tra antipasti e secondi.
Può raccontare di qualche sperimentazione particolarmente audace o di sfide incontrate lavorando la pasta che, pur non essendo entrate in menu, le hanno lasciato insegnamenti preziosi?
Proprio recentemente, mi è capitato di inserire in un menu, vegetariano, lo Spaghettino Matt di Monograno Felicetti che faccio reidratare in acqua per un’ora. Quindi, lo risotto in padella con acqua di pomodoro. Il risultato è uno spaghetto in bianco, dall’intenso e inaspettato gusto di pomodoro.
Quando serve i suoi piatti di pasta a una clientela internazionale, come gestisce le diverse aspettative e le percezioni globali – a volte stereotipate – legate alla pasta italiana?
Nel mio ristorante la pasta è sempre richiesta, da italiani e stranieri. Quando servo i miei piatti di pasta a una clientela internazionale, per me non fa differenza. Non snaturo le mie ricette per un pubblico diverso, perché è proprio il pubblico stesso ad avere la curiosità di assaggiare piatti dal gusto italiano.
In quanto chef italiano, sente una particolare responsabilità nel rappresentare ed elevare l'immagine della pasta italiana nel mondo?
Assolutamente sì. Credo che la pasta rappresenti un veicolo per raccontare la cultura e i prodotti italiani. La particolarità dell’Italia è che ogni regione, anzi ogni paese, ogni casa, ha una ricetta diversa per fare la pasta, sia in termini di impasto che di ripieno. Abbiamo una biodiversità gastronomica che a volte diamo per scontata, ma non lo è assolutamente. Bisogna preservare il più possibile queste tradizioni.
Quanto è importante per lei l'aspetto visivo del piatto di pasta? Come la scelta del formato, del condimento e del piatto stesso contribuiscono all'armonia estetica e all'esperienza complessiva?
L’aspetto visivo è per me importante tanto quanto quello gustativo. Un piatto dev’essere bello e buono al tempo stesso, perché si mangia prima di tutto con gli occhi. Come dicevo prima, il condimento è fondamentale in un piatto di pasta, sia in termini di quantità che di varietà. Ci sono sughi, come l’amatriciana o aglio olio e peperoncino, più adatti per una pasta lunga, altri, come burro e salvia, più adatti per la pasta ripiena, perché il ripieno è già di per sé ricco. Anche il piatto stesso contribuisce alla creazione dell’esperienza. Solitamente, prediligo la fondina, perché è perfetta per raccogliere la salsa; in altri casi, è più indicato l’utilizzo del piatto piano.
Nel suo approccio alla pasta, quale bilanciamento ricerca tra le tecniche di produzione artigianale, magari apprese dalla tradizione, e l'utilizzo di attrezzature e metodologie più moderne?
Nella mia cucina c’è davvero poco spazio per attrezzature moderne, perché amo lavorare i prodotti ancora artigianalmente. La pasta, ad esempio, la faccio a mano e la tiro con uno strumento meccanico.
Ci sono ingredienti o abbinamenti non convenzionali che ha sperimentato o integrato nei suoi piatti di pasta, uscendo dai canoni più classici, e con quale risultato?
Sì, un tempo avevo in menu l’amatriciana dolce, come pre-dessert. Era uno spaghettino cotto in acqua, sale, zucchero e finocchietto (court bouillon dolce), accompagnato da guanciale, polvere di pomodoro, pecorino dolce e sciroppo d’acero, che avevo scelto perché ricordava, assieme al guanciale, il bacon americano.