STEFANO SFORZA

Dove la Cucina è un' Arte Precisa

1986

San Mauro Canavese

Nitida Sostenibile

STEFANO SFORZA

Dove la Cucina è un' Arte Precisa

1986

San Mauro Canavese

Nitida Sostenibile

STEFANO SFORZA

Dove la Cucina è un' Arte Precisa

1986

San Mauro Canavese

Nitida Sostenibile

CURRICULUM VITAE

Nato nel 1986 a San Mauro Canavese, Stefano Sforza intraprende la sua carriera in cucina a soli 17 anni, subito dopo il diploma alberghiero. La sua formazione poggia su pilastri fondamentali che ne definiranno lo stile. L'influenza di Alain Ducasse gli infonde un metodo basato su "rigore, rispetto e disciplina", un approccio quasi architettonico al mestiere che considera le basi etiche e organizzative cruciali quanto la tecnica stessa. Parallelamente, assorbe la lezione filosofica di Gualtiero Marchesi, adottando il celebre principio della sottrazione, il "togliere piuttosto che mettere", che diventerà il nucleo della sua estetica culinaria. A queste figure, poi, si aggiungono mentori piemontesi come Pier Bussetti, che lo radicano nel territorio.

Il suo percorso professionale è un itinerario strategico di oltre quindici anni attraverso cucine d'eccellenza. Tappe significative includono l'Hotel Bellevue di Cogne, lo storico Ristorante del Cambio a Torino e il Trussardi alla Scala a Milano, esperienze che consolidano la sua tecnica e lo proiettano in contesti di alta ristorazione diversi e stimolanti. La sua prima vera affermazione come leader arriva al Turin Palace Hotel, dove, alla guida del ristorante Les Petites Madeleines, il suo talento viene riconosciuto con il premio di "Miglior chef emergente nord Italia 2016".

Nel 2019, Sforza è pronto per il suo progetto più ambizioso. Insieme alla famiglia Cometto, inaugura a Torino il ristorante Opera Ingegno e Creatività, la piena espressione della sua maturità professionale. Qui mette a punto la sua "cucina netta": precisa nel sapore, schietta, pulita e basata su pochi ingredienti essenziali, in un dialogo costante con la stagionalità.

Il suo tropismo verso il vegetale, lo spinge a un'esplorazione ancora più profonda, che diventa la sua cifra stilistica più innovativa e riconosciuta. Oltre alla proposta alla carta, due menu, di cui uno vegetariano costruito intorno a una famiglia di vegetali, dove Sforza esprime la sua predilezione per le verdure e gioca con le cotture e le consistenze, e un menù “Opera” in cui farsi guidare dallo chef attraverso un percorso creativo che lascia libero sfogo al suo estro e che esprime tutta l’essenza del ristorante. Stefano Sforza è stato insignito del premio Chef Emergente dell’Anno agli Awards 2020 di Food and Travel Italia. L’anno successivo il ristorante ottiene il premio di TheFork e Identità Golose People Choice’s Award ritirato in occasione dei TheFork Restaurants Awards 2021. Da aprile 2022 Opera è menzionato nella selezione della Guida Michelin.

dialoghi

  • Spesso si sottovaluta l'importanza dell'acqua nella cottura della pasta. Quanto incide questo elemento apparentemente semplice sul risultato finale dei suoi piatti, e dedica un'attenzione particolare alla sua selezione o al suo trattamento in cucina?

  • Per la cottura della pasta impieghiamo l’acqua della rete idrica della città che, qui a Torino, è leggermente calcarea. Diverso il discorso per quanto riguarda i brodi o altre preparazioni più delicate, dove invece usiamo acqua microfiltrata per eliminare eventuali impurità. Ritengo che ciò che faccia davvero la differenza sia però la quantità e la qualità del sale. Da Opera preferiamo usarne una tipologia integrale, più naturale e completa rispetto a quelle raffinate.

  • Ogni chef ha piatti "firma" che custodisce gelosamente. Senza svelare i suoi segreti più intimi, c'è un piatto di pasta che considera particolarmente emblematico della sua cucina, e potrebbe almeno accennare a quale idea o ingrediente chiave lo rende così speciale e rappresentativo per lei?

  • Ce n’è più di uno, ma posso citare un piatto del menu degustazione Jitomate – dedicato interamente al pomodoro - Ciliegino giallo, fusillo, peperoncino aji amarillo, dragoncello. Sono molto legato al fusillo, un formato che scelgo spesso di utilizzare. Ne apprezzo la trafilatura che permette alla pasta di amalgamarsi con i condimenti, e la consistenza che lo rende piacevole al morso. In questo ricetta è inoltre presente una nota acida, elemento ricorrente nei miei piatti di pasta.

  • Con l'aumento di intolleranze e scelte dietetiche, come si approccia alla sfida di creare piatti di pasta che utilizzino farine alternative (senza glutine, a base di legumi, ecc.), garantendo lo stesso livello di eccellenza, sapore e texture delle preparazioni tradizionali?

  • Negli ultimi anni, da Opera, ci siamo concentrati molto su questo tema per venire incontro a chi ha delle intolleranze o allergie, ma anche per scoprire nuove strade in cucina. Abbiamo sperimentato diverse alternative alle farine tradizionali, come quelle di lenticchie, di lupini o di fagioli. Questo ci ha permesso di generare nuovi sapori e combinazioni e, allo stesso tempo, renderle adatte a chi cerca opzioni senza glutine. Ad esempio, nel percorso degustazione Jitomate, fra i primi c’è Cuore rosa, sfoglia integrale, pitahaya, Parmigiano.

  • La maestria nella preparazione della pasta e dei suoi condimenti richiede grande precisione e sensibilità. Come forma e trasmette le sue tecniche, la sua filosofia e la sua "mano" specifica sulla pasta alla sua brigata di cucina?

  • Sicuramente la precisione si costruisce con il tempo e con l’esperienza. In cucina lavoriamo molto con i timer: il tempo di cottura deve essere rispettato e la quantità di acqua nel bollitore deve essere costante per garantire la corretta concentrazione di sale. Il timer ci aiuta a mantenere un parametro oggettivo, ma poi c’è la sensibilità del cuoco che può fare la differenza. Può capitare che una pasta artigianale possa avere un tempo di cottura diverso da un giorno all’altro e, in quel momento, entra in gioco l’esperienza e la capacità di assaggio. La nostra filosofia è che il rigore e la costanza siano necessarie per garantire sempre lo stesso livello di qualità, a prescindere da chi materialmente stia cucinando.

  • Qual è stato, nella sua carriera, il piatto di pasta che ha richiesto il maggiore sforzo di ricerca, sperimentazione, o ha presentato le sfide tecniche e creative più ardue per raggiungere il risultato desiderato?

  • Ogni nuovo piatto rappresenta una sfida, ma se devo citarne uno in particolare, direi Raviolo di anacardo, alkekengi, oabika. Si tratta di una pasta ripiena a forma di sombrero che è stata uno delle più complesse da perfezionare, sia per la tecnica che per la gestione del servizio. Si parte da un cono di pasta, che viene modellato con l’ausilio del collo di una bottiglia per creare la classica forma del cappello. In seguito viene cotto, raffreddato, farcito e richiuso con un secondo cono. Al momento del servizio, la pasta ripiena viene rigenerata al vapore. Questo sistema ci permette di mantenere intatta la forma e la consistenza del raviolo.

  • Esplora l'utilizzo di tecniche culinarie avanzate, come fermentazioni controllate, affumicature non convenzionali o estrazioni complesse, nell'applicazione a sughi o componenti dei suoi piatti di pasta? Come queste tecniche si integrano con la base tradizionale?

  • La tradizione è una base imprescindibile da cui sono sempre ispirato, ma dalla quale cerco di innovare e sperimentare senza alterare i sapori originali. Ad esempio, nella realizzazione di una salsa di pomodoro evito lunghe preparazioni che snaturano la vividezza dei colori originali. Dopo una rapida cottura dei pomodori, procedo con un’estrazione per separare la parte liquida che faccio ridurre fino a concentrarne il sapore. A questo punto la riunisco alla polpa che, non avendo cotto a lungo, ha mantenuto un colore vivo. Grazie a questa tecnica rispetto la materia prima e allo stesso tempo la esalto ottenendo un risultato finale più elegante.

  • Considerando le tendenze attuali verso un'alimentazione più vegetale, come vede il futuro della pasta a base di legumi, verdure o altre fonti non cerealicole all'interno del fine dining? È una frontiera interessante da esplorare?

  • Gli impasti a base di farine di legumi sono parte integrante della cucina di Opera da diversi anni. Non solo per rispondere a esigenze legate alla celiachia o a intolleranze, ma anche per una ricerca di gusto e di nuove consistenze. Si creano nuovi scenari, sapori più profondi, intensi e vegetali che arricchiscono davvero il piatto. Sicuramente continuerò ad esplorare questo mondo e credo che possa essere una strada percorribile in tutte le cucine.

  • Al di là dell'incorporazione di ingredienti da diverse culture, ci sono tecniche di preparazione o approcci culinari non italiani che hanno influenzato il modo in cui concepisce o realizza i suoi piatti di pasta?

  • Pur non adottando spesso tecniche non italiane sulla pasta, alcune influenze hanno arricchito il nostro lavoro da Opera. Trattiamo, ad esempio, la fregola sarda come un risotto, cuocendola per assorbimento. Usiamo anche la tecnica della pasta stracotta, lavorata con nero di seppia, essiccata e fritta per creare una cialda croccante. Queste sperimentazioni, ispirate ad approcci di altre cucine, offrono spunti creativi e nuove possibilità, pur non essendo centrali nel nostro percorso.

  • La pasta è un piatto che quasi tutti conoscono e spesso caricano di ricordi personali. Sente una particolare pressione o aspettativa quando la propone nel suo menu, sapendo che verrà "giudicata" anche su un piano emotivo e comparativo?

  • Sì, sicuramente quando si parla di tradizione c’è sempre una certa pressione. Da Opera partiamo da ingredienti come il pomodoro o il Parmigiano e li rileggiamo in una nuova chiave, senza però tradirne l’essenza. Non abbiamo la pretesa di replicare i piatti della tradizione, ma di proporne una nostra interpretazione che non può e non vuole essere paragonata al passato. In Ciliegino giallo, fusillo, peperoncino aji amarillo, dragoncello ritroviamo una versione dell’arrabbiata che si discosta da quella classica. Siamo abituati ad associarla a una salsa rossa, ma in questo piatto la prepariamo con ciliegini gialli e un peperoncino poco piccante, ma fortemente aromatico. Ciò rappresenta il nostro approccio: rispetto per la tradizione, ma con la voglia di esplorarla e narrarla con il nostro linguaggio.

  • Ritiene che i suoi piatti di pasta, soprattutto quelli che valorizzano prodotti o tradizioni del territorio in cui opera, possano giocare un ruolo attivo nel promuovere il turismo gastronomico e l'identità culinaria della sua regione?

  • I piatti di pasta possono certamente valorizzare prodotti e tradizioni del territorio e giocare un ruolo importante nel promuovere sia il turismo gastronomico sia l’identità culinaria della nostra regione.
    È fondamentale utilizzare materie prime italiane, in particolare i grani. Non perché siano migliori, ma perché abbiamo un patrimonio importante che merita di essere valorizzato. Per questo il legame tra pasta, territorio e tradizione è essenziale non solo per la cucina, ma anche per raccontare e valorizzare la cultura locale, attirando appassionati e turisti in cerca di un’esperienza autentica.

CURRICULUM VITAE

Nato nel 1986 a San Mauro Canavese, Stefano Sforza intraprende la sua carriera in cucina a soli 17 anni, subito dopo il diploma alberghiero. La sua formazione poggia su pilastri fondamentali che ne definiranno lo stile. L'influenza di Alain Ducasse gli infonde un metodo basato su "rigore, rispetto e disciplina", un approccio quasi architettonico al mestiere che considera le basi etiche e organizzative cruciali quanto la tecnica stessa. Parallelamente, assorbe la lezione filosofica di Gualtiero Marchesi, adottando il celebre principio della sottrazione, il "togliere piuttosto che mettere", che diventerà il nucleo della sua estetica culinaria. A queste figure, poi, si aggiungono mentori piemontesi come Pier Bussetti, che lo radicano nel territorio.

Il suo percorso professionale è un itinerario strategico di oltre quindici anni attraverso cucine d'eccellenza. Tappe significative includono l'Hotel Bellevue di Cogne, lo storico Ristorante del Cambio a Torino e il Trussardi alla Scala a Milano, esperienze che consolidano la sua tecnica e lo proiettano in contesti di alta ristorazione diversi e stimolanti. La sua prima vera affermazione come leader arriva al Turin Palace Hotel, dove, alla guida del ristorante Les Petites Madeleines, il suo talento viene riconosciuto con il premio di "Miglior chef emergente nord Italia 2016".

Nel 2019, Sforza è pronto per il suo progetto più ambizioso. Insieme alla famiglia Cometto, inaugura a Torino il ristorante Opera Ingegno e Creatività, la piena espressione della sua maturità professionale. Qui mette a punto la sua "cucina netta": precisa nel sapore, schietta, pulita e basata su pochi ingredienti essenziali, in un dialogo costante con la stagionalità.

Il suo tropismo verso il vegetale, lo spinge a un'esplorazione ancora più profonda, che diventa la sua cifra stilistica più innovativa e riconosciuta. Oltre alla proposta alla carta, due menu, di cui uno vegetariano costruito intorno a una famiglia di vegetali, dove Sforza esprime la sua predilezione per le verdure e gioca con le cotture e le consistenze, e un menù “Opera” in cui farsi guidare dallo chef attraverso un percorso creativo che lascia libero sfogo al suo estro e che esprime tutta l’essenza del ristorante. Stefano Sforza è stato insignito del premio Chef Emergente dell’Anno agli Awards 2020 di Food and Travel Italia. L’anno successivo il ristorante ottiene il premio di TheFork e Identità Golose People Choice’s Award ritirato in occasione dei TheFork Restaurants Awards 2021. Da aprile 2022 Opera è menzionato nella selezione della Guida Michelin.

dialoghi

  • Spesso si sottovaluta l'importanza dell'acqua nella cottura della pasta. Quanto incide questo elemento apparentemente semplice sul risultato finale dei suoi piatti, e dedica un'attenzione particolare alla sua selezione o al suo trattamento in cucina?

  • Per la cottura della pasta impieghiamo l’acqua della rete idrica della città che, qui a Torino, è leggermente calcarea. Diverso il discorso per quanto riguarda i brodi o altre preparazioni più delicate, dove invece usiamo acqua microfiltrata per eliminare eventuali impurità. Ritengo che ciò che faccia davvero la differenza sia però la quantità e la qualità del sale. Da Opera preferiamo usarne una tipologia integrale, più naturale e completa rispetto a quelle raffinate.

  • Ogni chef ha piatti "firma" che custodisce gelosamente. Senza svelare i suoi segreti più intimi, c'è un piatto di pasta che considera particolarmente emblematico della sua cucina, e potrebbe almeno accennare a quale idea o ingrediente chiave lo rende così speciale e rappresentativo per lei?

  • Ce n’è più di uno, ma posso citare un piatto del menu degustazione Jitomate – dedicato interamente al pomodoro - Ciliegino giallo, fusillo, peperoncino aji amarillo, dragoncello. Sono molto legato al fusillo, un formato che scelgo spesso di utilizzare. Ne apprezzo la trafilatura che permette alla pasta di amalgamarsi con i condimenti, e la consistenza che lo rende piacevole al morso. In questo ricetta è inoltre presente una nota acida, elemento ricorrente nei miei piatti di pasta.

  • Con l'aumento di intolleranze e scelte dietetiche, come si approccia alla sfida di creare piatti di pasta che utilizzino farine alternative (senza glutine, a base di legumi, ecc.), garantendo lo stesso livello di eccellenza, sapore e texture delle preparazioni tradizionali?

  • Negli ultimi anni, da Opera, ci siamo concentrati molto su questo tema per venire incontro a chi ha delle intolleranze o allergie, ma anche per scoprire nuove strade in cucina. Abbiamo sperimentato diverse alternative alle farine tradizionali, come quelle di lenticchie, di lupini o di fagioli. Questo ci ha permesso di generare nuovi sapori e combinazioni e, allo stesso tempo, renderle adatte a chi cerca opzioni senza glutine. Ad esempio, nel percorso degustazione Jitomate, fra i primi c’è Cuore rosa, sfoglia integrale, pitahaya, Parmigiano.

  • La maestria nella preparazione della pasta e dei suoi condimenti richiede grande precisione e sensibilità. Come forma e trasmette le sue tecniche, la sua filosofia e la sua "mano" specifica sulla pasta alla sua brigata di cucina?

  • Sicuramente la precisione si costruisce con il tempo e con l’esperienza. In cucina lavoriamo molto con i timer: il tempo di cottura deve essere rispettato e la quantità di acqua nel bollitore deve essere costante per garantire la corretta concentrazione di sale. Il timer ci aiuta a mantenere un parametro oggettivo, ma poi c’è la sensibilità del cuoco che può fare la differenza. Può capitare che una pasta artigianale possa avere un tempo di cottura diverso da un giorno all’altro e, in quel momento, entra in gioco l’esperienza e la capacità di assaggio. La nostra filosofia è che il rigore e la costanza siano necessarie per garantire sempre lo stesso livello di qualità, a prescindere da chi materialmente stia cucinando.

  • Qual è stato, nella sua carriera, il piatto di pasta che ha richiesto il maggiore sforzo di ricerca, sperimentazione, o ha presentato le sfide tecniche e creative più ardue per raggiungere il risultato desiderato?

  • Ogni nuovo piatto rappresenta una sfida, ma se devo citarne uno in particolare, direi Raviolo di anacardo, alkekengi, oabika. Si tratta di una pasta ripiena a forma di sombrero che è stata uno delle più complesse da perfezionare, sia per la tecnica che per la gestione del servizio. Si parte da un cono di pasta, che viene modellato con l’ausilio del collo di una bottiglia per creare la classica forma del cappello. In seguito viene cotto, raffreddato, farcito e richiuso con un secondo cono. Al momento del servizio, la pasta ripiena viene rigenerata al vapore. Questo sistema ci permette di mantenere intatta la forma e la consistenza del raviolo.

  • Esplora l'utilizzo di tecniche culinarie avanzate, come fermentazioni controllate, affumicature non convenzionali o estrazioni complesse, nell'applicazione a sughi o componenti dei suoi piatti di pasta? Come queste tecniche si integrano con la base tradizionale?

  • La tradizione è una base imprescindibile da cui sono sempre ispirato, ma dalla quale cerco di innovare e sperimentare senza alterare i sapori originali. Ad esempio, nella realizzazione di una salsa di pomodoro evito lunghe preparazioni che snaturano la vividezza dei colori originali. Dopo una rapida cottura dei pomodori, procedo con un’estrazione per separare la parte liquida che faccio ridurre fino a concentrarne il sapore. A questo punto la riunisco alla polpa che, non avendo cotto a lungo, ha mantenuto un colore vivo. Grazie a questa tecnica rispetto la materia prima e allo stesso tempo la esalto ottenendo un risultato finale più elegante.

  • Considerando le tendenze attuali verso un'alimentazione più vegetale, come vede il futuro della pasta a base di legumi, verdure o altre fonti non cerealicole all'interno del fine dining? È una frontiera interessante da esplorare?

  • Gli impasti a base di farine di legumi sono parte integrante della cucina di Opera da diversi anni. Non solo per rispondere a esigenze legate alla celiachia o a intolleranze, ma anche per una ricerca di gusto e di nuove consistenze. Si creano nuovi scenari, sapori più profondi, intensi e vegetali che arricchiscono davvero il piatto. Sicuramente continuerò ad esplorare questo mondo e credo che possa essere una strada percorribile in tutte le cucine.

  • Al di là dell'incorporazione di ingredienti da diverse culture, ci sono tecniche di preparazione o approcci culinari non italiani che hanno influenzato il modo in cui concepisce o realizza i suoi piatti di pasta?

  • Pur non adottando spesso tecniche non italiane sulla pasta, alcune influenze hanno arricchito il nostro lavoro da Opera. Trattiamo, ad esempio, la fregola sarda come un risotto, cuocendola per assorbimento. Usiamo anche la tecnica della pasta stracotta, lavorata con nero di seppia, essiccata e fritta per creare una cialda croccante. Queste sperimentazioni, ispirate ad approcci di altre cucine, offrono spunti creativi e nuove possibilità, pur non essendo centrali nel nostro percorso.

  • La pasta è un piatto che quasi tutti conoscono e spesso caricano di ricordi personali. Sente una particolare pressione o aspettativa quando la propone nel suo menu, sapendo che verrà "giudicata" anche su un piano emotivo e comparativo?

  • Sì, sicuramente quando si parla di tradizione c’è sempre una certa pressione. Da Opera partiamo da ingredienti come il pomodoro o il Parmigiano e li rileggiamo in una nuova chiave, senza però tradirne l’essenza. Non abbiamo la pretesa di replicare i piatti della tradizione, ma di proporne una nostra interpretazione che non può e non vuole essere paragonata al passato. In Ciliegino giallo, fusillo, peperoncino aji amarillo, dragoncello ritroviamo una versione dell’arrabbiata che si discosta da quella classica. Siamo abituati ad associarla a una salsa rossa, ma in questo piatto la prepariamo con ciliegini gialli e un peperoncino poco piccante, ma fortemente aromatico. Ciò rappresenta il nostro approccio: rispetto per la tradizione, ma con la voglia di esplorarla e narrarla con il nostro linguaggio.

  • Ritiene che i suoi piatti di pasta, soprattutto quelli che valorizzano prodotti o tradizioni del territorio in cui opera, possano giocare un ruolo attivo nel promuovere il turismo gastronomico e l'identità culinaria della sua regione?

  • I piatti di pasta possono certamente valorizzare prodotti e tradizioni del territorio e giocare un ruolo importante nel promuovere sia il turismo gastronomico sia l’identità culinaria della nostra regione.
    È fondamentale utilizzare materie prime italiane, in particolare i grani. Non perché siano migliori, ma perché abbiamo un patrimonio importante che merita di essere valorizzato. Per questo il legame tra pasta, territorio e tradizione è essenziale non solo per la cucina, ma anche per raccontare e valorizzare la cultura locale, attirando appassionati e turisti in cerca di un’esperienza autentica.

CURRICULUM VITAE

Nato nel 1986 a San Mauro Canavese, Stefano Sforza intraprende la sua carriera in cucina a soli 17 anni, subito dopo il diploma alberghiero. La sua formazione poggia su pilastri fondamentali che ne definiranno lo stile. L'influenza di Alain Ducasse gli infonde un metodo basato su "rigore, rispetto e disciplina", un approccio quasi architettonico al mestiere che considera le basi etiche e organizzative cruciali quanto la tecnica stessa. Parallelamente, assorbe la lezione filosofica di Gualtiero Marchesi, adottando il celebre principio della sottrazione, il "togliere piuttosto che mettere", che diventerà il nucleo della sua estetica culinaria. A queste figure, poi, si aggiungono mentori piemontesi come Pier Bussetti, che lo radicano nel territorio.

Il suo percorso professionale è un itinerario strategico di oltre quindici anni attraverso cucine d'eccellenza. Tappe significative includono l'Hotel Bellevue di Cogne, lo storico Ristorante del Cambio a Torino e il Trussardi alla Scala a Milano, esperienze che consolidano la sua tecnica e lo proiettano in contesti di alta ristorazione diversi e stimolanti. La sua prima vera affermazione come leader arriva al Turin Palace Hotel, dove, alla guida del ristorante Les Petites Madeleines, il suo talento viene riconosciuto con il premio di "Miglior chef emergente nord Italia 2016".

Nel 2019, Sforza è pronto per il suo progetto più ambizioso. Insieme alla famiglia Cometto, inaugura a Torino il ristorante Opera Ingegno e Creatività, la piena espressione della sua maturità professionale. Qui mette a punto la sua "cucina netta": precisa nel sapore, schietta, pulita e basata su pochi ingredienti essenziali, in un dialogo costante con la stagionalità.

Il suo tropismo verso il vegetale, lo spinge a un'esplorazione ancora più profonda, che diventa la sua cifra stilistica più innovativa e riconosciuta. Oltre alla proposta alla carta, due menu, di cui uno vegetariano costruito intorno a una famiglia di vegetali, dove Sforza esprime la sua predilezione per le verdure e gioca con le cotture e le consistenze, e un menù “Opera” in cui farsi guidare dallo chef attraverso un percorso creativo che lascia libero sfogo al suo estro e che esprime tutta l’essenza del ristorante. Stefano Sforza è stato insignito del premio Chef Emergente dell’Anno agli Awards 2020 di Food and Travel Italia. L’anno successivo il ristorante ottiene il premio di TheFork e Identità Golose People Choice’s Award ritirato in occasione dei TheFork Restaurants Awards 2021. Da aprile 2022 Opera è menzionato nella selezione della Guida Michelin.

dialoghi

  • Spesso si sottovaluta l'importanza dell'acqua nella cottura della pasta. Quanto incide questo elemento apparentemente semplice sul risultato finale dei suoi piatti, e dedica un'attenzione particolare alla sua selezione o al suo trattamento in cucina?

  • Per la cottura della pasta impieghiamo l’acqua della rete idrica della città che, qui a Torino, è leggermente calcarea. Diverso il discorso per quanto riguarda i brodi o altre preparazioni più delicate, dove invece usiamo acqua microfiltrata per eliminare eventuali impurità. Ritengo che ciò che faccia davvero la differenza sia però la quantità e la qualità del sale. Da Opera preferiamo usarne una tipologia integrale, più naturale e completa rispetto a quelle raffinate.

  • Ogni chef ha piatti "firma" che custodisce gelosamente. Senza svelare i suoi segreti più intimi, c'è un piatto di pasta che considera particolarmente emblematico della sua cucina, e potrebbe almeno accennare a quale idea o ingrediente chiave lo rende così speciale e rappresentativo per lei?

  • Ce n’è più di uno, ma posso citare un piatto del menu degustazione Jitomate – dedicato interamente al pomodoro - Ciliegino giallo, fusillo, peperoncino aji amarillo, dragoncello. Sono molto legato al fusillo, un formato che scelgo spesso di utilizzare. Ne apprezzo la trafilatura che permette alla pasta di amalgamarsi con i condimenti, e la consistenza che lo rende piacevole al morso. In questo ricetta è inoltre presente una nota acida, elemento ricorrente nei miei piatti di pasta.

  • Con l'aumento di intolleranze e scelte dietetiche, come si approccia alla sfida di creare piatti di pasta che utilizzino farine alternative (senza glutine, a base di legumi, ecc.), garantendo lo stesso livello di eccellenza, sapore e texture delle preparazioni tradizionali?

  • Negli ultimi anni, da Opera, ci siamo concentrati molto su questo tema per venire incontro a chi ha delle intolleranze o allergie, ma anche per scoprire nuove strade in cucina. Abbiamo sperimentato diverse alternative alle farine tradizionali, come quelle di lenticchie, di lupini o di fagioli. Questo ci ha permesso di generare nuovi sapori e combinazioni e, allo stesso tempo, renderle adatte a chi cerca opzioni senza glutine. Ad esempio, nel percorso degustazione Jitomate, fra i primi c’è Cuore rosa, sfoglia integrale, pitahaya, Parmigiano.

  • La maestria nella preparazione della pasta e dei suoi condimenti richiede grande precisione e sensibilità. Come forma e trasmette le sue tecniche, la sua filosofia e la sua "mano" specifica sulla pasta alla sua brigata di cucina?

  • Sicuramente la precisione si costruisce con il tempo e con l’esperienza. In cucina lavoriamo molto con i timer: il tempo di cottura deve essere rispettato e la quantità di acqua nel bollitore deve essere costante per garantire la corretta concentrazione di sale. Il timer ci aiuta a mantenere un parametro oggettivo, ma poi c’è la sensibilità del cuoco che può fare la differenza. Può capitare che una pasta artigianale possa avere un tempo di cottura diverso da un giorno all’altro e, in quel momento, entra in gioco l’esperienza e la capacità di assaggio. La nostra filosofia è che il rigore e la costanza siano necessarie per garantire sempre lo stesso livello di qualità, a prescindere da chi materialmente stia cucinando.

  • Qual è stato, nella sua carriera, il piatto di pasta che ha richiesto il maggiore sforzo di ricerca, sperimentazione, o ha presentato le sfide tecniche e creative più ardue per raggiungere il risultato desiderato?

  • Ogni nuovo piatto rappresenta una sfida, ma se devo citarne uno in particolare, direi Raviolo di anacardo, alkekengi, oabika. Si tratta di una pasta ripiena a forma di sombrero che è stata uno delle più complesse da perfezionare, sia per la tecnica che per la gestione del servizio. Si parte da un cono di pasta, che viene modellato con l’ausilio del collo di una bottiglia per creare la classica forma del cappello. In seguito viene cotto, raffreddato, farcito e richiuso con un secondo cono. Al momento del servizio, la pasta ripiena viene rigenerata al vapore. Questo sistema ci permette di mantenere intatta la forma e la consistenza del raviolo.

  • Esplora l'utilizzo di tecniche culinarie avanzate, come fermentazioni controllate, affumicature non convenzionali o estrazioni complesse, nell'applicazione a sughi o componenti dei suoi piatti di pasta? Come queste tecniche si integrano con la base tradizionale?

  • La tradizione è una base imprescindibile da cui sono sempre ispirato, ma dalla quale cerco di innovare e sperimentare senza alterare i sapori originali. Ad esempio, nella realizzazione di una salsa di pomodoro evito lunghe preparazioni che snaturano la vividezza dei colori originali. Dopo una rapida cottura dei pomodori, procedo con un’estrazione per separare la parte liquida che faccio ridurre fino a concentrarne il sapore. A questo punto la riunisco alla polpa che, non avendo cotto a lungo, ha mantenuto un colore vivo. Grazie a questa tecnica rispetto la materia prima e allo stesso tempo la esalto ottenendo un risultato finale più elegante.

  • Considerando le tendenze attuali verso un'alimentazione più vegetale, come vede il futuro della pasta a base di legumi, verdure o altre fonti non cerealicole all'interno del fine dining? È una frontiera interessante da esplorare?

  • Gli impasti a base di farine di legumi sono parte integrante della cucina di Opera da diversi anni. Non solo per rispondere a esigenze legate alla celiachia o a intolleranze, ma anche per una ricerca di gusto e di nuove consistenze. Si creano nuovi scenari, sapori più profondi, intensi e vegetali che arricchiscono davvero il piatto. Sicuramente continuerò ad esplorare questo mondo e credo che possa essere una strada percorribile in tutte le cucine.

  • Al di là dell'incorporazione di ingredienti da diverse culture, ci sono tecniche di preparazione o approcci culinari non italiani che hanno influenzato il modo in cui concepisce o realizza i suoi piatti di pasta?

  • Pur non adottando spesso tecniche non italiane sulla pasta, alcune influenze hanno arricchito il nostro lavoro da Opera. Trattiamo, ad esempio, la fregola sarda come un risotto, cuocendola per assorbimento. Usiamo anche la tecnica della pasta stracotta, lavorata con nero di seppia, essiccata e fritta per creare una cialda croccante. Queste sperimentazioni, ispirate ad approcci di altre cucine, offrono spunti creativi e nuove possibilità, pur non essendo centrali nel nostro percorso.

  • La pasta è un piatto che quasi tutti conoscono e spesso caricano di ricordi personali. Sente una particolare pressione o aspettativa quando la propone nel suo menu, sapendo che verrà "giudicata" anche su un piano emotivo e comparativo?

  • Sì, sicuramente quando si parla di tradizione c’è sempre una certa pressione. Da Opera partiamo da ingredienti come il pomodoro o il Parmigiano e li rileggiamo in una nuova chiave, senza però tradirne l’essenza. Non abbiamo la pretesa di replicare i piatti della tradizione, ma di proporne una nostra interpretazione che non può e non vuole essere paragonata al passato. In Ciliegino giallo, fusillo, peperoncino aji amarillo, dragoncello ritroviamo una versione dell’arrabbiata che si discosta da quella classica. Siamo abituati ad associarla a una salsa rossa, ma in questo piatto la prepariamo con ciliegini gialli e un peperoncino poco piccante, ma fortemente aromatico. Ciò rappresenta il nostro approccio: rispetto per la tradizione, ma con la voglia di esplorarla e narrarla con il nostro linguaggio.

  • Ritiene che i suoi piatti di pasta, soprattutto quelli che valorizzano prodotti o tradizioni del territorio in cui opera, possano giocare un ruolo attivo nel promuovere il turismo gastronomico e l'identità culinaria della sua regione?

  • I piatti di pasta possono certamente valorizzare prodotti e tradizioni del territorio e giocare un ruolo importante nel promuovere sia il turismo gastronomico sia l’identità culinaria della nostra regione.
    È fondamentale utilizzare materie prime italiane, in particolare i grani. Non perché siano migliori, ma perché abbiamo un patrimonio importante che merita di essere valorizzato. Per questo il legame tra pasta, territorio e tradizione è essenziale non solo per la cucina, ma anche per raccontare e valorizzare la cultura locale, attirando appassionati e turisti in cerca di un’esperienza autentica.