VALENTINA MAIONI

Sintesi di una Visione Culinaria

1989

Borgomanero

Tradizione Innovazione

VALENTINA MAIONI

Sintesi di una Visione Culinaria

1989

Borgomanero

Tradizione Innovazione

VALENTINA MAIONI

Sintesi di una Visione Culinaria

1989

Borgomanero

Tradizione Innovazione

CURRICULUM VITAE

Nel cuore di Borgomanero, la chef Valentina Maioni ha affermato la sua visione culinaria con il ristorante GU.STA.RE OLTRECUCINA, un progetto che fonde la memoria della tradizione piemontese con un'estetica contemporanea. Classe 1989, la sua cucina è un'espressione diretta del suo percorso personale e professionale, un dialogo tra i sapori dell'infanzia e le tecniche raffinate della gastronomia moderna.

La filosofia di Maioni è profondamente radicata nei ricordi sensoriali. Le sue prime lezioni di cucina non ebbero luogo in un'accademia, ma nelle cucine delle sue nonne. Il rito settimanale degli gnocchi con la bisnonna insegnarono il valore del gesto artigianale, mentre i ravioli preparati con l'altra nonna, sono diventati nel tempo un ideale emotivo di "sapore perfetto"; un metro di paragone che alimenta la sua continua ricerca dell'eccellenza. Già da bambina, infatti, il suo precoce estro gastronomico ebbe modo di estrinsecarsi durante i giochi estivi, quando "cucinava" risotti immaginari per i suoi amici con ciò che di meglio trovava nel sottobosco: pigne, erbe selvatiche e foglie.

Questo legame organico con gli ingredienti, è oggi il fulcro del suo processo creativo. L'ispirazione per i suoi piatti nasce dall'osservazione diretta della materia prima, come la frutta e la verdura che vede al banco dello zio fruttivendolo. Questo approccio garantisce una cucina sincera e stagionale, dove l'ingrediente è il vero protagonista.

Il suo percorso professionale è stato metodico e mirato. Dopo la formazione alla Food Genius Academy di Milano, ha affinato le sue competenze sotto la guida di chef come Piero Bertinotti e Fabrizio Tesse, per poi assumere il suo primo ruolo di Executive chef al Venus di Orta San Giulio. La decisione di aprire una propria insegna, è stata la naturale conseguenza di una sua caratteristica intrinseca: una "mentalità della proprietà".

GU.STA.RE OLTRECUCINA è la realizzazione di questa visione, un'esperienza olistica che va "oltre la cucina". Il relativo successo, confermato da riconoscimenti come la menzione nella Guida MICHELIN, è frutto della partnership simbiotica con il socio e Maître Manuel Ettoumi, la cui filosofia di accoglienza e la sua curata selezione di vini, focalizzata su piccoli produttori, che completano e amplificano la narrazione culinaria della giovane cuoca.

dialoghi

  • Partendo dal ricordo degli gnocchi con sua bisnonna, come si ritrova oggi quel gesto familiare in un piatto tecnicamente evoluto come i suoi Gnocchi di polenta? Quel ricordo guida ancora la sua mano?

  • Quel ricordo è ancora il punto di partenza, ogni giovedì preparavo gli gnocchi di patate al sugo di pomodoro. Quando penso agli gnocchi con la mia bisnonna mi torna alla mente non solo il sapore, ma il gesto: le mani che impastano, la semplicità degli ingredienti.
    Oggi, con gli Gnocchi di polenta, cerco di tradurre quel gesto tradizionale in un linguaggio contemporaneo. La tecnica, la precisione, la ricerca della consistenza perfetta sono strumenti nuovi, ma il sentimento è lo stesso: prendo un ricordo e lo porto nel presente, con rispetto.

  • Lei si definisce uno "spirito svincolato" in Piemonte, terra di tradizioni forti. Come gestisce questo dualismo? Dove finisce il rispetto per la tradizione e inizia la sua libertà creativa?

  • Credo che la tradizione non sia una gabbia, ma una base solida da cui prendere spunto per creare. Essere uno "spirito svincolato" in Piemonte significa accogliere la memoria di una cucina straordinariamente radicata e allo stesso tempo sentirsi liberi di reinterpretarla con occhi nuovi. Da lì nasce la libertà creativa: non dalla rottura, ma dalla consapevolezza, in fondo ogni piatto che creo è un dialogo con la mia terra, non una fuga.

  • I Ravioli del plin sono il suo "piatto forte". Oltre la ricetta, cosa rappresentano per lei e per l'identità del ristorante? Sono un omaggio immutabile o un piatto in continua evoluzione?

  • I Ravioli del plin sono il mio legame più diretto con la tradizione piemontese, ma anche il punto in cui questa tradizione dialoga con la mia idea di cucina. Non sono solo un piatto forte, ma sono un simbolo della mia cucina. Quel pizzicotto che chiude la pasta è un gesto antico che porto avanti con rispetto, la scelta del ripieno, la leggerezza della sfoglia, la cremosità del Parmigiano sono il modo in cui il piatto si racconta al palato.

  • Nel suo menù convivono paste fresche e secche. Qual è il criterio che la guida nella scelta tra la delicatezza di una pasta all'uovo e la tenacia di una secca per un determinato piatto?

  • La scelta tra una pasta fresca e una secca per me non è mai solo tecnica, ma narrativa. Ogni formato e ogni impasto raccontano qualcosa di diverso: la pasta all’uovo è morbida e si lascia attraversare dai sapori; la pasta secca invece ha una forza e una resistenza che chiede al sugo di conquistarsela.
    È un equilibrio di caratteri perchè ogni condimento trova la sua espressione migliore nella pasta giusta.

  • Ci può descrivere il processo creativo di un piatto innovativo come le sue Linguine? L'idea nasce da un ingrediente, da una tecnica, o da altro? Qual è la sfida per raggiungere l'equilibrio perfetto?

  • Il mio processo creativo di solito nasce da una suggestione, può essere un ingrediente, un ricordo, una texture, un profumo, oppure anche un’idea concettuale. In questo caso sono partita dalla scelta del formato di pasta, le linguine “al Bronzo Barilla”, seguendo poi la stagionalità degli ingredienti ho scelto il cavolo nero per la mantecatura perché oltre al gusto, mi piaceva il contrasto di colori. Per aggiungere cremosità al piatto ho inserito la crema all’aglio dolce e, per finire, un tocco di mediterraneità con i calamari al profumo di limone.

  • Oltre al sapore, l'esperienza della pasta è tattile. Che ruolo gioca la ricerca della texture perfetta nei suoi piatti e come lavora sul contrasto e l'armonia tra le diverse consistenze?

  • La texture della pasta gioca assolutamente un ruolo fondamentale nella mia cucina, la consistenza è ciò che dà struttura al boccone, se la linguina è troppo liscia o troppo cotta, l’intera esperienza sensoriale crolla.
    Un piatto equilibrato si compone di diverse consistenze, alla base cremosa serve un elemento croccante o asciutto che spezzi la monotonia. Il contrasto è ciò che mantiene viva la curiosità del palato: ogni forchettata diventa diversa, ma coerente.

  • Il suo ristorante si chiama "Oltrecucina". Come riesce un piatto universale come la pasta a veicolare questa filosofia di accoglienza? E come il servizio in sala completa la storia che lei inizia?

  • La pasta è il simbolo perfetto di questa idea di accoglienza. È un piatto che appartiene a tutti, ma in ogni mano cambia volto. Attraverso un formato o una cottura si possono evocare territori, memorie, infanzie. Così chi arriva da lontano trova qualcosa di familiare, e chi è di casa scopre qualcosa di nuovo: è un modo per dire “sei il benvenuto”, senza parole.
    La sala è la voce narrativa della cucina, il piatto nasce in cucina, ma prende vita nel momento in cui viene raccontato, presentato e osservato. Il nostro servizio non spiega “cosa c’è dentro”, ma perché esiste e come viene creato il piatto.

  • La qualità parte dalle materie prime. Che rapporto ha con i suoi fornitori di farine e ingredienti? Quanto questa collaborazione diretta con i produttori influenza la sua creatività?
    La scelta delle materie prime, tra cui le farine, parte dalla mia creatività. Individuo i prodotti più adatti alla mia cucina al fine di trasmettere nel piatto le sensazioni che provo nell’idearlo.

  • La maestria di uno chef si vede nei piatti semplici. Se mettesse in menù uno "Spaghetto al pomodoro", quali dettagli e tecniche lo renderebbero inconfondibilmente un suo piatto?

  • Il mio spaghetto al pomodoro sarebbe sicuramente risottato, ossia cotto interamente nella salsa di pomodoro fresco, con l’aggiunta di olio all’aglio, basilico fresco a finire e, perché no, in mantecatura una presa di Parmigiano grattugiato. Un piatto semplice, che certamente si farà ricordare.

  • Guardando al futuro, cosa la entusiasma nel mondo della pasta? Grani antichi, formati dimenticati, nuove tecniche? Qual è la prossima frontiera per la pasta nel suo menù?

  • Se devo pensare al futuro, penso che mi concentrerò nella ricerca di formati di pasta ormai dimenticati. Al giorno d’oggi vengono utilizzati sempre di più i formati di pasta lunga o, comunque, i grandi formati. Mi chiedo perché nessuno utilizza più i piccoli formati di pasta e la sfida per il futuro sarà quella di creare grandi piatti con piccola pasta. Tubetti, pasta mista, mafaldine saranno certamente protagonisti dei miei piatti.

CURRICULUM VITAE

Nel cuore di Borgomanero, la chef Valentina Maioni ha affermato la sua visione culinaria con il ristorante GU.STA.RE OLTRECUCINA, un progetto che fonde la memoria della tradizione piemontese con un'estetica contemporanea. Classe 1989, la sua cucina è un'espressione diretta del suo percorso personale e professionale, un dialogo tra i sapori dell'infanzia e le tecniche raffinate della gastronomia moderna.

La filosofia di Maioni è profondamente radicata nei ricordi sensoriali. Le sue prime lezioni di cucina non ebbero luogo in un'accademia, ma nelle cucine delle sue nonne. Il rito settimanale degli gnocchi con la bisnonna insegnarono il valore del gesto artigianale, mentre i ravioli preparati con l'altra nonna, sono diventati nel tempo un ideale emotivo di "sapore perfetto"; un metro di paragone che alimenta la sua continua ricerca dell'eccellenza. Già da bambina, infatti, il suo precoce estro gastronomico ebbe modo di estrinsecarsi durante i giochi estivi, quando "cucinava" risotti immaginari per i suoi amici con ciò che di meglio trovava nel sottobosco: pigne, erbe selvatiche e foglie.

Questo legame organico con gli ingredienti, è oggi il fulcro del suo processo creativo. L'ispirazione per i suoi piatti nasce dall'osservazione diretta della materia prima, come la frutta e la verdura che vede al banco dello zio fruttivendolo. Questo approccio garantisce una cucina sincera e stagionale, dove l'ingrediente è il vero protagonista.

Il suo percorso professionale è stato metodico e mirato. Dopo la formazione alla Food Genius Academy di Milano, ha affinato le sue competenze sotto la guida di chef come Piero Bertinotti e Fabrizio Tesse, per poi assumere il suo primo ruolo di Executive chef al Venus di Orta San Giulio. La decisione di aprire una propria insegna, è stata la naturale conseguenza di una sua caratteristica intrinseca: una "mentalità della proprietà".

GU.STA.RE OLTRECUCINA è la realizzazione di questa visione, un'esperienza olistica che va "oltre la cucina". Il relativo successo, confermato da riconoscimenti come la menzione nella Guida MICHELIN, è frutto della partnership simbiotica con il socio e Maître Manuel Ettoumi, la cui filosofia di accoglienza e la sua curata selezione di vini, focalizzata su piccoli produttori, che completano e amplificano la narrazione culinaria della giovane cuoca.

dialoghi

  • Partendo dal ricordo degli gnocchi con sua bisnonna, come si ritrova oggi quel gesto familiare in un piatto tecnicamente evoluto come i suoi Gnocchi di polenta? Quel ricordo guida ancora la sua mano?

  • Quel ricordo è ancora il punto di partenza, ogni giovedì preparavo gli gnocchi di patate al sugo di pomodoro. Quando penso agli gnocchi con la mia bisnonna mi torna alla mente non solo il sapore, ma il gesto: le mani che impastano, la semplicità degli ingredienti.
    Oggi, con gli Gnocchi di polenta, cerco di tradurre quel gesto tradizionale in un linguaggio contemporaneo. La tecnica, la precisione, la ricerca della consistenza perfetta sono strumenti nuovi, ma il sentimento è lo stesso: prendo un ricordo e lo porto nel presente, con rispetto.

  • Lei si definisce uno "spirito svincolato" in Piemonte, terra di tradizioni forti. Come gestisce questo dualismo? Dove finisce il rispetto per la tradizione e inizia la sua libertà creativa?

  • Credo che la tradizione non sia una gabbia, ma una base solida da cui prendere spunto per creare. Essere uno "spirito svincolato" in Piemonte significa accogliere la memoria di una cucina straordinariamente radicata e allo stesso tempo sentirsi liberi di reinterpretarla con occhi nuovi. Da lì nasce la libertà creativa: non dalla rottura, ma dalla consapevolezza, in fondo ogni piatto che creo è un dialogo con la mia terra, non una fuga.

  • I Ravioli del plin sono il suo "piatto forte". Oltre la ricetta, cosa rappresentano per lei e per l'identità del ristorante? Sono un omaggio immutabile o un piatto in continua evoluzione?

  • I Ravioli del plin sono il mio legame più diretto con la tradizione piemontese, ma anche il punto in cui questa tradizione dialoga con la mia idea di cucina. Non sono solo un piatto forte, ma sono un simbolo della mia cucina. Quel pizzicotto che chiude la pasta è un gesto antico che porto avanti con rispetto, la scelta del ripieno, la leggerezza della sfoglia, la cremosità del Parmigiano sono il modo in cui il piatto si racconta al palato.

  • Nel suo menù convivono paste fresche e secche. Qual è il criterio che la guida nella scelta tra la delicatezza di una pasta all'uovo e la tenacia di una secca per un determinato piatto?

  • La scelta tra una pasta fresca e una secca per me non è mai solo tecnica, ma narrativa. Ogni formato e ogni impasto raccontano qualcosa di diverso: la pasta all’uovo è morbida e si lascia attraversare dai sapori; la pasta secca invece ha una forza e una resistenza che chiede al sugo di conquistarsela.
    È un equilibrio di caratteri perchè ogni condimento trova la sua espressione migliore nella pasta giusta.

  • Ci può descrivere il processo creativo di un piatto innovativo come le sue Linguine? L'idea nasce da un ingrediente, da una tecnica, o da altro? Qual è la sfida per raggiungere l'equilibrio perfetto?

  • Il mio processo creativo di solito nasce da una suggestione, può essere un ingrediente, un ricordo, una texture, un profumo, oppure anche un’idea concettuale. In questo caso sono partita dalla scelta del formato di pasta, le linguine “al Bronzo Barilla”, seguendo poi la stagionalità degli ingredienti ho scelto il cavolo nero per la mantecatura perché oltre al gusto, mi piaceva il contrasto di colori. Per aggiungere cremosità al piatto ho inserito la crema all’aglio dolce e, per finire, un tocco di mediterraneità con i calamari al profumo di limone.

  • Oltre al sapore, l'esperienza della pasta è tattile. Che ruolo gioca la ricerca della texture perfetta nei suoi piatti e come lavora sul contrasto e l'armonia tra le diverse consistenze?

  • La texture della pasta gioca assolutamente un ruolo fondamentale nella mia cucina, la consistenza è ciò che dà struttura al boccone, se la linguina è troppo liscia o troppo cotta, l’intera esperienza sensoriale crolla.
    Un piatto equilibrato si compone di diverse consistenze, alla base cremosa serve un elemento croccante o asciutto che spezzi la monotonia. Il contrasto è ciò che mantiene viva la curiosità del palato: ogni forchettata diventa diversa, ma coerente.

  • Il suo ristorante si chiama "Oltrecucina". Come riesce un piatto universale come la pasta a veicolare questa filosofia di accoglienza? E come il servizio in sala completa la storia che lei inizia?

  • La pasta è il simbolo perfetto di questa idea di accoglienza. È un piatto che appartiene a tutti, ma in ogni mano cambia volto. Attraverso un formato o una cottura si possono evocare territori, memorie, infanzie. Così chi arriva da lontano trova qualcosa di familiare, e chi è di casa scopre qualcosa di nuovo: è un modo per dire “sei il benvenuto”, senza parole.
    La sala è la voce narrativa della cucina, il piatto nasce in cucina, ma prende vita nel momento in cui viene raccontato, presentato e osservato. Il nostro servizio non spiega “cosa c’è dentro”, ma perché esiste e come viene creato il piatto.

  • La qualità parte dalle materie prime. Che rapporto ha con i suoi fornitori di farine e ingredienti? Quanto questa collaborazione diretta con i produttori influenza la sua creatività?
    La scelta delle materie prime, tra cui le farine, parte dalla mia creatività. Individuo i prodotti più adatti alla mia cucina al fine di trasmettere nel piatto le sensazioni che provo nell’idearlo.

  • La maestria di uno chef si vede nei piatti semplici. Se mettesse in menù uno "Spaghetto al pomodoro", quali dettagli e tecniche lo renderebbero inconfondibilmente un suo piatto?

  • Il mio spaghetto al pomodoro sarebbe sicuramente risottato, ossia cotto interamente nella salsa di pomodoro fresco, con l’aggiunta di olio all’aglio, basilico fresco a finire e, perché no, in mantecatura una presa di Parmigiano grattugiato. Un piatto semplice, che certamente si farà ricordare.

  • Guardando al futuro, cosa la entusiasma nel mondo della pasta? Grani antichi, formati dimenticati, nuove tecniche? Qual è la prossima frontiera per la pasta nel suo menù?

  • Se devo pensare al futuro, penso che mi concentrerò nella ricerca di formati di pasta ormai dimenticati. Al giorno d’oggi vengono utilizzati sempre di più i formati di pasta lunga o, comunque, i grandi formati. Mi chiedo perché nessuno utilizza più i piccoli formati di pasta e la sfida per il futuro sarà quella di creare grandi piatti con piccola pasta. Tubetti, pasta mista, mafaldine saranno certamente protagonisti dei miei piatti.

CURRICULUM VITAE

Nel cuore di Borgomanero, la chef Valentina Maioni ha affermato la sua visione culinaria con il ristorante GU.STA.RE OLTRECUCINA, un progetto che fonde la memoria della tradizione piemontese con un'estetica contemporanea. Classe 1989, la sua cucina è un'espressione diretta del suo percorso personale e professionale, un dialogo tra i sapori dell'infanzia e le tecniche raffinate della gastronomia moderna.

La filosofia di Maioni è profondamente radicata nei ricordi sensoriali. Le sue prime lezioni di cucina non ebbero luogo in un'accademia, ma nelle cucine delle sue nonne. Il rito settimanale degli gnocchi con la bisnonna insegnarono il valore del gesto artigianale, mentre i ravioli preparati con l'altra nonna, sono diventati nel tempo un ideale emotivo di "sapore perfetto"; un metro di paragone che alimenta la sua continua ricerca dell'eccellenza. Già da bambina, infatti, il suo precoce estro gastronomico ebbe modo di estrinsecarsi durante i giochi estivi, quando "cucinava" risotti immaginari per i suoi amici con ciò che di meglio trovava nel sottobosco: pigne, erbe selvatiche e foglie.

Questo legame organico con gli ingredienti, è oggi il fulcro del suo processo creativo. L'ispirazione per i suoi piatti nasce dall'osservazione diretta della materia prima, come la frutta e la verdura che vede al banco dello zio fruttivendolo. Questo approccio garantisce una cucina sincera e stagionale, dove l'ingrediente è il vero protagonista.

Il suo percorso professionale è stato metodico e mirato. Dopo la formazione alla Food Genius Academy di Milano, ha affinato le sue competenze sotto la guida di chef come Piero Bertinotti e Fabrizio Tesse, per poi assumere il suo primo ruolo di Executive chef al Venus di Orta San Giulio. La decisione di aprire una propria insegna, è stata la naturale conseguenza di una sua caratteristica intrinseca: una "mentalità della proprietà".

GU.STA.RE OLTRECUCINA è la realizzazione di questa visione, un'esperienza olistica che va "oltre la cucina". Il relativo successo, confermato da riconoscimenti come la menzione nella Guida MICHELIN, è frutto della partnership simbiotica con il socio e Maître Manuel Ettoumi, la cui filosofia di accoglienza e la sua curata selezione di vini, focalizzata su piccoli produttori, che completano e amplificano la narrazione culinaria della giovane cuoca.

dialoghi

  • Partendo dal ricordo degli gnocchi con sua bisnonna, come si ritrova oggi quel gesto familiare in un piatto tecnicamente evoluto come i suoi Gnocchi di polenta? Quel ricordo guida ancora la sua mano?

  • Quel ricordo è ancora il punto di partenza, ogni giovedì preparavo gli gnocchi di patate al sugo di pomodoro. Quando penso agli gnocchi con la mia bisnonna mi torna alla mente non solo il sapore, ma il gesto: le mani che impastano, la semplicità degli ingredienti.
    Oggi, con gli Gnocchi di polenta, cerco di tradurre quel gesto tradizionale in un linguaggio contemporaneo. La tecnica, la precisione, la ricerca della consistenza perfetta sono strumenti nuovi, ma il sentimento è lo stesso: prendo un ricordo e lo porto nel presente, con rispetto.

  • Lei si definisce uno "spirito svincolato" in Piemonte, terra di tradizioni forti. Come gestisce questo dualismo? Dove finisce il rispetto per la tradizione e inizia la sua libertà creativa?

  • Credo che la tradizione non sia una gabbia, ma una base solida da cui prendere spunto per creare. Essere uno "spirito svincolato" in Piemonte significa accogliere la memoria di una cucina straordinariamente radicata e allo stesso tempo sentirsi liberi di reinterpretarla con occhi nuovi. Da lì nasce la libertà creativa: non dalla rottura, ma dalla consapevolezza, in fondo ogni piatto che creo è un dialogo con la mia terra, non una fuga.

  • I Ravioli del plin sono il suo "piatto forte". Oltre la ricetta, cosa rappresentano per lei e per l'identità del ristorante? Sono un omaggio immutabile o un piatto in continua evoluzione?

  • I Ravioli del plin sono il mio legame più diretto con la tradizione piemontese, ma anche il punto in cui questa tradizione dialoga con la mia idea di cucina. Non sono solo un piatto forte, ma sono un simbolo della mia cucina. Quel pizzicotto che chiude la pasta è un gesto antico che porto avanti con rispetto, la scelta del ripieno, la leggerezza della sfoglia, la cremosità del Parmigiano sono il modo in cui il piatto si racconta al palato.

  • Nel suo menù convivono paste fresche e secche. Qual è il criterio che la guida nella scelta tra la delicatezza di una pasta all'uovo e la tenacia di una secca per un determinato piatto?

  • La scelta tra una pasta fresca e una secca per me non è mai solo tecnica, ma narrativa. Ogni formato e ogni impasto raccontano qualcosa di diverso: la pasta all’uovo è morbida e si lascia attraversare dai sapori; la pasta secca invece ha una forza e una resistenza che chiede al sugo di conquistarsela.
    È un equilibrio di caratteri perchè ogni condimento trova la sua espressione migliore nella pasta giusta.

  • Ci può descrivere il processo creativo di un piatto innovativo come le sue Linguine? L'idea nasce da un ingrediente, da una tecnica, o da altro? Qual è la sfida per raggiungere l'equilibrio perfetto?

  • Il mio processo creativo di solito nasce da una suggestione, può essere un ingrediente, un ricordo, una texture, un profumo, oppure anche un’idea concettuale. In questo caso sono partita dalla scelta del formato di pasta, le linguine “al Bronzo Barilla”, seguendo poi la stagionalità degli ingredienti ho scelto il cavolo nero per la mantecatura perché oltre al gusto, mi piaceva il contrasto di colori. Per aggiungere cremosità al piatto ho inserito la crema all’aglio dolce e, per finire, un tocco di mediterraneità con i calamari al profumo di limone.

  • Oltre al sapore, l'esperienza della pasta è tattile. Che ruolo gioca la ricerca della texture perfetta nei suoi piatti e come lavora sul contrasto e l'armonia tra le diverse consistenze?

  • La texture della pasta gioca assolutamente un ruolo fondamentale nella mia cucina, la consistenza è ciò che dà struttura al boccone, se la linguina è troppo liscia o troppo cotta, l’intera esperienza sensoriale crolla.
    Un piatto equilibrato si compone di diverse consistenze, alla base cremosa serve un elemento croccante o asciutto che spezzi la monotonia. Il contrasto è ciò che mantiene viva la curiosità del palato: ogni forchettata diventa diversa, ma coerente.

  • Il suo ristorante si chiama "Oltrecucina". Come riesce un piatto universale come la pasta a veicolare questa filosofia di accoglienza? E come il servizio in sala completa la storia che lei inizia?

  • La pasta è il simbolo perfetto di questa idea di accoglienza. È un piatto che appartiene a tutti, ma in ogni mano cambia volto. Attraverso un formato o una cottura si possono evocare territori, memorie, infanzie. Così chi arriva da lontano trova qualcosa di familiare, e chi è di casa scopre qualcosa di nuovo: è un modo per dire “sei il benvenuto”, senza parole.
    La sala è la voce narrativa della cucina, il piatto nasce in cucina, ma prende vita nel momento in cui viene raccontato, presentato e osservato. Il nostro servizio non spiega “cosa c’è dentro”, ma perché esiste e come viene creato il piatto.

  • La qualità parte dalle materie prime. Che rapporto ha con i suoi fornitori di farine e ingredienti? Quanto questa collaborazione diretta con i produttori influenza la sua creatività?
    La scelta delle materie prime, tra cui le farine, parte dalla mia creatività. Individuo i prodotti più adatti alla mia cucina al fine di trasmettere nel piatto le sensazioni che provo nell’idearlo.

  • La maestria di uno chef si vede nei piatti semplici. Se mettesse in menù uno "Spaghetto al pomodoro", quali dettagli e tecniche lo renderebbero inconfondibilmente un suo piatto?

  • Il mio spaghetto al pomodoro sarebbe sicuramente risottato, ossia cotto interamente nella salsa di pomodoro fresco, con l’aggiunta di olio all’aglio, basilico fresco a finire e, perché no, in mantecatura una presa di Parmigiano grattugiato. Un piatto semplice, che certamente si farà ricordare.

  • Guardando al futuro, cosa la entusiasma nel mondo della pasta? Grani antichi, formati dimenticati, nuove tecniche? Qual è la prossima frontiera per la pasta nel suo menù?

  • Se devo pensare al futuro, penso che mi concentrerò nella ricerca di formati di pasta ormai dimenticati. Al giorno d’oggi vengono utilizzati sempre di più i formati di pasta lunga o, comunque, i grandi formati. Mi chiedo perché nessuno utilizza più i piccoli formati di pasta e la sfida per il futuro sarà quella di creare grandi piatti con piccola pasta. Tubetti, pasta mista, mafaldine saranno certamente protagonisti dei miei piatti.