L’IDENTITA’ DELLA PASTA

un filo sottile che unisce i secoli

4 giu 2025

L’IDENTITA’ DELLA PASTA

un filo sottile che unisce i secoli

4 giu 2025

L’IDENTITA’ DELLA PASTA

un filo sottile che unisce i secoli

4 giu 2025

C’è qualcosa di commovente nella pasta, nella sua essenza umile e nella sua capacità di attraversare i secoli senza mai perdere identità; nel tempo è divenuta una liturgia quotidiana, un oggetto di desiderio, un ponte invisibile tra arte, letteratura e vita vissuta.

Giovanni Boccaccio, nel suo Decameron, non si limitò a narrare storie: disegnò immagini vivide di tavole imbandite e desideri carnali, includendo perfino un’utopia gastronomica nel Paese di Bengodi, in cui le viti erano legate con delle salsicce e colline di formaggio e maccheroni piovevano come manna celeste. Un sogno? Forse. Ma in quel sogno, la pasta era già mito.

Abbiamo già trattato di Gioachino Rossini che, ancora secoli dopo, ci offre la misura esatta della sua devozione. Lui stesso disse di avere pianto sino allo spasimo solo due volte nella sua esistenza: la prima, allorché ascoltava i virtuosismi del magnifico Paganini e l’ultima quando un piatto di pasta gli sfuggì di mano, cadendo rovinosamente sul pavimento. Per lui, come per tanti altri spiriti raffinati, la cucina era opera lirica, passione assoluta.

Anche Nikolaj Gogol, col suo genio inquieto, trovava conforto tra i fornelli. La sua pasta, preparata con una precisione quasi mistica, era un modo per esplorare il mondo. Viaggiava in Italia non solo per le sue piazze o i suoi musei, ma per carpire i segreti di una ricetta ben riuscita. Sergej Timofeevič Aksakov lo definì “cuoco-artista”, e forse non si sbagliava: in fondo, la scrittura e la cucina condividono il dono della trasformazione…

Ed è per questo che il 25 ottobre si celebra la Giornata Mondiale della Pasta, in quel mese denso di simbolismi, perché in fondo, ogni piatto di pasta racconta una storia. Alcune parlano d’amore, altre di nostalgia. Ma tutte, inevitabilmente, parlano di noi.

C’è qualcosa di commovente nella pasta, nella sua essenza umile e nella sua capacità di attraversare i secoli senza mai perdere identità; nel tempo è divenuta una liturgia quotidiana, un oggetto di desiderio, un ponte invisibile tra arte, letteratura e vita vissuta.

Giovanni Boccaccio, nel suo Decameron, non si limitò a narrare storie: disegnò immagini vivide di tavole imbandite e desideri carnali, includendo perfino un’utopia gastronomica nel Paese di Bengodi, in cui le viti erano legate con delle salsicce e colline di formaggio e maccheroni piovevano come manna celeste. Un sogno? Forse. Ma in quel sogno, la pasta era già mito.

Abbiamo già trattato di Gioachino Rossini che, ancora secoli dopo, ci offre la misura esatta della sua devozione. Lui stesso disse di avere pianto sino allo spasimo solo due volte nella sua esistenza: la prima, allorché ascoltava i virtuosismi del magnifico Paganini e l’ultima quando un piatto di pasta gli sfuggì di mano, cadendo rovinosamente sul pavimento. Per lui, come per tanti altri spiriti raffinati, la cucina era opera lirica, passione assoluta.

Anche Nikolaj Gogol, col suo genio inquieto, trovava conforto tra i fornelli. La sua pasta, preparata con una precisione quasi mistica, era un modo per esplorare il mondo. Viaggiava in Italia non solo per le sue piazze o i suoi musei, ma per carpire i segreti di una ricetta ben riuscita. Sergej Timofeevič Aksakov lo definì “cuoco-artista”, e forse non si sbagliava: in fondo, la scrittura e la cucina condividono il dono della trasformazione…

Ed è per questo che il 25 ottobre si celebra la Giornata Mondiale della Pasta, in quel mese denso di simbolismi, perché in fondo, ogni piatto di pasta racconta una storia. Alcune parlano d’amore, altre di nostalgia. Ma tutte, inevitabilmente, parlano di noi.

C’è qualcosa di commovente nella pasta, nella sua essenza umile e nella sua capacità di attraversare i secoli senza mai perdere identità; nel tempo è divenuta una liturgia quotidiana, un oggetto di desiderio, un ponte invisibile tra arte, letteratura e vita vissuta.

Giovanni Boccaccio, nel suo Decameron, non si limitò a narrare storie: disegnò immagini vivide di tavole imbandite e desideri carnali, includendo perfino un’utopia gastronomica nel Paese di Bengodi, in cui le viti erano legate con delle salsicce e colline di formaggio e maccheroni piovevano come manna celeste. Un sogno? Forse. Ma in quel sogno, la pasta era già mito.

Abbiamo già trattato di Gioachino Rossini che, ancora secoli dopo, ci offre la misura esatta della sua devozione. Lui stesso disse di avere pianto sino allo spasimo solo due volte nella sua esistenza: la prima, allorché ascoltava i virtuosismi del magnifico Paganini e l’ultima quando un piatto di pasta gli sfuggì di mano, cadendo rovinosamente sul pavimento. Per lui, come per tanti altri spiriti raffinati, la cucina era opera lirica, passione assoluta.

Anche Nikolaj Gogol, col suo genio inquieto, trovava conforto tra i fornelli. La sua pasta, preparata con una precisione quasi mistica, era un modo per esplorare il mondo. Viaggiava in Italia non solo per le sue piazze o i suoi musei, ma per carpire i segreti di una ricetta ben riuscita. Sergej Timofeevič Aksakov lo definì “cuoco-artista”, e forse non si sbagliava: in fondo, la scrittura e la cucina condividono il dono della trasformazione…

Ed è per questo che il 25 ottobre si celebra la Giornata Mondiale della Pasta, in quel mese denso di simbolismi, perché in fondo, ogni piatto di pasta racconta una storia. Alcune parlano d’amore, altre di nostalgia. Ma tutte, inevitabilmente, parlano di noi.