
LA CROCIATA (FALLITA) CONTRO LA PASTA
9 apr 2025

LA CROCIATA (FALLITA) CONTRO LA PASTA
9 apr 2025

LA CROCIATA (FALLITA) CONTRO LA PASTA
9 apr 2025
Non tutti, nella storia, hanno ceduto al fascino irresistibile di un piatto di spaghetti fumanti. Il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, con il suo proverbiale pessimismo, liquidava la pasta come il "cibo dei rassegnati", quasi fosse un simbolo tangibile della resa esistenziale. Ma il vero nemico giurato dei maccheroni fu Filippo Tommaso Marinetti, padre del Futurismo, che nel 1931 dichiarò guerra alla pasta nel suo celebre Manifesto della Cucina Futurista. Per lui, il consumo di spaghetti conduceva all'ignavia e soffocava l'energia dinamica necessaria per forgiare l'italiano moderno: "scattante, elettrico, aerodinamico."
L'attacco di Marinetti alla pasta non fu un capriccio isolato, ma una parte integrante della sua visione di rinnovamento radicale della società italiana. Il Futurismo non si limitava alle arti e alla letteratura, ma ambiva a trasformare ogni aspetto della vita quotidiana, compresa la Gastronomia. Secondo Marinetti, la cucina tradizionale italiana, con i suoi piatti abbondanti e sostanziosi, era un ostacolo alla modernità, un retaggio del passato che incatenava gli italiani a un'idea di nutrizione superata e poco funzionale alle esigenze di un mondo in rapido movimento.
A sorpresa, il suo appello trovò un alleato insospettabile in Benito Mussolini, il quale intravide nella crociata anti-pasta un'opportunità d'oro per emancipare l'Italia dalla dipendenza del grano estero e glorificare l'autarchia attraverso la promozione del riso. La politica autarchica del regime mirava a ridurre l'importazione di beni essenziali e a rendere il paese autosufficiente, e la sostituzione della pasta con il riso, coltivato abbondantemente nella Pianura Padana, si inseriva perfettamente in questo programma.
La battaglia contro la pasta assunse dunque una dimensione ideologica e politica, con il regime che promuoveva nuovi modelli alimentari attraverso campagne propagandistiche e pubblicazioni che esaltavano le virtù del riso e di altri alimenti considerati più "moderni" e in linea con l'ideale dell'uomo futurista. Marinetti e i suoi seguaci arrivarono a proporre alternative culinarie audaci, sinestetiche, talvolta stravaganti, come il "Carneplastico", una sorta di scultura commestibile a base di carne, e piatti multisensoriali progettati per stimolare non solo il gusto, ma anche la vista, l'olfatto e persino il tatto.
Eppure, il destino – o forse una Carbonara particolarmente invitante – aveva in serbo un epilogo tragicomico! Poco dopo la pubblicazione del manifesto, Marinetti fu sorpreso in un ristorante milanese mentre ingollava un abbondante piatto di spaghetti, tradendo clamorosamente la sua crociata. La notizia si diffuse rapidamente, scatenando l'ilarità generale e sancendo la sconfitta definitiva della sua battaglia culinaria. La reazione popolare fu un chiaro segnale che la pasta fosse ben più di un semplice alimento: era un elemento identitario, un simbolo viscerale della cultura italiana radicato troppo profondamente per essere sradicato da qualsiasi teoria o ideologia.
Nonostante gli sforzi di Marinetti e il sostegno del Regime, la rivoluzione culinaria non decollò mai davvero. Gli italiani continuarono a consumare pasta con entusiasmo, ignorando le esortazioni futuriste e le politiche autarchiche. Alla fine, la tradizione prevalse sulla sperimentazione, e la pasta continuò a regnare sovrana sulle tavole del paese.
La pasta, con la sua straordinaria capacità di resistere a filosofie, ideologie e dittature, ne uscì trionfante. Marinetti, invece, dovette ingoiare – oltre agli spaghetti – anche il sapore amaro della propria incoerenza, dimostrando che, se c'è qualcosa di davvero eterno nella cultura italiana, non sono le Avanguardie artistiche o le ideologie politiche, ma un buon piatto di pasta, capace di sopravvivere, intonso, a qualsiasi rivoluzione.
Non tutti, nella storia, hanno ceduto al fascino irresistibile di un piatto di spaghetti fumanti. Il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, con il suo proverbiale pessimismo, liquidava la pasta come il "cibo dei rassegnati", quasi fosse un simbolo tangibile della resa esistenziale. Ma il vero nemico giurato dei maccheroni fu Filippo Tommaso Marinetti, padre del Futurismo, che nel 1931 dichiarò guerra alla pasta nel suo celebre Manifesto della Cucina Futurista. Per lui, il consumo di spaghetti conduceva all'ignavia e soffocava l'energia dinamica necessaria per forgiare l'italiano moderno: "scattante, elettrico, aerodinamico."
L'attacco di Marinetti alla pasta non fu un capriccio isolato, ma una parte integrante della sua visione di rinnovamento radicale della società italiana. Il Futurismo non si limitava alle arti e alla letteratura, ma ambiva a trasformare ogni aspetto della vita quotidiana, compresa la Gastronomia. Secondo Marinetti, la cucina tradizionale italiana, con i suoi piatti abbondanti e sostanziosi, era un ostacolo alla modernità, un retaggio del passato che incatenava gli italiani a un'idea di nutrizione superata e poco funzionale alle esigenze di un mondo in rapido movimento.
A sorpresa, il suo appello trovò un alleato insospettabile in Benito Mussolini, il quale intravide nella crociata anti-pasta un'opportunità d'oro per emancipare l'Italia dalla dipendenza del grano estero e glorificare l'autarchia attraverso la promozione del riso. La politica autarchica del regime mirava a ridurre l'importazione di beni essenziali e a rendere il paese autosufficiente, e la sostituzione della pasta con il riso, coltivato abbondantemente nella Pianura Padana, si inseriva perfettamente in questo programma.
La battaglia contro la pasta assunse dunque una dimensione ideologica e politica, con il regime che promuoveva nuovi modelli alimentari attraverso campagne propagandistiche e pubblicazioni che esaltavano le virtù del riso e di altri alimenti considerati più "moderni" e in linea con l'ideale dell'uomo futurista. Marinetti e i suoi seguaci arrivarono a proporre alternative culinarie audaci, sinestetiche, talvolta stravaganti, come il "Carneplastico", una sorta di scultura commestibile a base di carne, e piatti multisensoriali progettati per stimolare non solo il gusto, ma anche la vista, l'olfatto e persino il tatto.
Eppure, il destino – o forse una Carbonara particolarmente invitante – aveva in serbo un epilogo tragicomico! Poco dopo la pubblicazione del manifesto, Marinetti fu sorpreso in un ristorante milanese mentre ingollava un abbondante piatto di spaghetti, tradendo clamorosamente la sua crociata. La notizia si diffuse rapidamente, scatenando l'ilarità generale e sancendo la sconfitta definitiva della sua battaglia culinaria. La reazione popolare fu un chiaro segnale che la pasta fosse ben più di un semplice alimento: era un elemento identitario, un simbolo viscerale della cultura italiana radicato troppo profondamente per essere sradicato da qualsiasi teoria o ideologia.
Nonostante gli sforzi di Marinetti e il sostegno del Regime, la rivoluzione culinaria non decollò mai davvero. Gli italiani continuarono a consumare pasta con entusiasmo, ignorando le esortazioni futuriste e le politiche autarchiche. Alla fine, la tradizione prevalse sulla sperimentazione, e la pasta continuò a regnare sovrana sulle tavole del paese.
La pasta, con la sua straordinaria capacità di resistere a filosofie, ideologie e dittature, ne uscì trionfante. Marinetti, invece, dovette ingoiare – oltre agli spaghetti – anche il sapore amaro della propria incoerenza, dimostrando che, se c'è qualcosa di davvero eterno nella cultura italiana, non sono le Avanguardie artistiche o le ideologie politiche, ma un buon piatto di pasta, capace di sopravvivere, intonso, a qualsiasi rivoluzione.
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Non tutti, nella storia, hanno ceduto al fascino irresistibile di un piatto di spaghetti fumanti. Il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, con il suo proverbiale pessimismo, liquidava la pasta come il "cibo dei rassegnati", quasi fosse un simbolo tangibile della resa esistenziale. Ma il vero nemico giurato dei maccheroni fu Filippo Tommaso Marinetti, padre del Futurismo, che nel 1931 dichiarò guerra alla pasta nel suo celebre Manifesto della Cucina Futurista. Per lui, il consumo di spaghetti conduceva all'ignavia e soffocava l'energia dinamica necessaria per forgiare l'italiano moderno: "scattante, elettrico, aerodinamico."
L'attacco di Marinetti alla pasta non fu un capriccio isolato, ma una parte integrante della sua visione di rinnovamento radicale della società italiana. Il Futurismo non si limitava alle arti e alla letteratura, ma ambiva a trasformare ogni aspetto della vita quotidiana, compresa la Gastronomia. Secondo Marinetti, la cucina tradizionale italiana, con i suoi piatti abbondanti e sostanziosi, era un ostacolo alla modernità, un retaggio del passato che incatenava gli italiani a un'idea di nutrizione superata e poco funzionale alle esigenze di un mondo in rapido movimento.
A sorpresa, il suo appello trovò un alleato insospettabile in Benito Mussolini, il quale intravide nella crociata anti-pasta un'opportunità d'oro per emancipare l'Italia dalla dipendenza del grano estero e glorificare l'autarchia attraverso la promozione del riso. La politica autarchica del regime mirava a ridurre l'importazione di beni essenziali e a rendere il paese autosufficiente, e la sostituzione della pasta con il riso, coltivato abbondantemente nella Pianura Padana, si inseriva perfettamente in questo programma.
La battaglia contro la pasta assunse dunque una dimensione ideologica e politica, con il regime che promuoveva nuovi modelli alimentari attraverso campagne propagandistiche e pubblicazioni che esaltavano le virtù del riso e di altri alimenti considerati più "moderni" e in linea con l'ideale dell'uomo futurista. Marinetti e i suoi seguaci arrivarono a proporre alternative culinarie audaci, sinestetiche, talvolta stravaganti, come il "Carneplastico", una sorta di scultura commestibile a base di carne, e piatti multisensoriali progettati per stimolare non solo il gusto, ma anche la vista, l'olfatto e persino il tatto.
Eppure, il destino – o forse una Carbonara particolarmente invitante – aveva in serbo un epilogo tragicomico! Poco dopo la pubblicazione del manifesto, Marinetti fu sorpreso in un ristorante milanese mentre ingollava un abbondante piatto di spaghetti, tradendo clamorosamente la sua crociata. La notizia si diffuse rapidamente, scatenando l'ilarità generale e sancendo la sconfitta definitiva della sua battaglia culinaria. La reazione popolare fu un chiaro segnale che la pasta fosse ben più di un semplice alimento: era un elemento identitario, un simbolo viscerale della cultura italiana radicato troppo profondamente per essere sradicato da qualsiasi teoria o ideologia.
Nonostante gli sforzi di Marinetti e il sostegno del Regime, la rivoluzione culinaria non decollò mai davvero. Gli italiani continuarono a consumare pasta con entusiasmo, ignorando le esortazioni futuriste e le politiche autarchiche. Alla fine, la tradizione prevalse sulla sperimentazione, e la pasta continuò a regnare sovrana sulle tavole del paese.
La pasta, con la sua straordinaria capacità di resistere a filosofie, ideologie e dittature, ne uscì trionfante. Marinetti, invece, dovette ingoiare – oltre agli spaghetti – anche il sapore amaro della propria incoerenza, dimostrando che, se c'è qualcosa di davvero eterno nella cultura italiana, non sono le Avanguardie artistiche o le ideologie politiche, ma un buon piatto di pasta, capace di sopravvivere, intonso, a qualsiasi rivoluzione.



