
NON E’ SOLO PASTA
storie d'Amore, famiglia e tavole imbandite
18 giu 2025

NON E’ SOLO PASTA
storie d'Amore, famiglia e tavole imbandite
18 giu 2025

NON E’ SOLO PASTA
storie d'Amore, famiglia e tavole imbandite
18 giu 2025
A casa di mia nonna, la pasta non era semplicemente un piatto di routine quotidiana: era un gesto sacrale, un’arte tramandata con riti precisi e densi di amore. La domenica mattina, prima ancora che la moka iniziasse a borbottare e il sole filtrasse timido tra le persiane, lei era già all’opera, le sue mani eleganti e sottili immerse in una fontana di farina, l’acqua aggiunta con la sapienza di chi conosce i segreti dell’impasto perfetto.
Ogni suo movimento era una danza precisa e silenziosa, un linguaggio antico che parlava di tradizione e dedizione. La sfoglia, stesa con cura, diventava tela su cui disegnare fettuccine, ravioli, lasagne; ogni formato un ricordo, ogni piega una storia.
Intorno al tavolo, la famiglia si riuniva, attratta dal profumo avvolgente del sugo che sobbolliva lentamente sul fornello. Le conversazioni si intrecciavano con grandi risate, i racconti di vita si mescolavano al tintinnio delle posate. In quel momento, la pasta diventava collante di affetti, simbolo tangibile di un amore che si esprimeva, anche, attraverso il cibo.
Era la scusa per riunire chi era lontano, per parlare, per ridere. Ricordo mio zio che tornava da Verona - quasi esclusivamente diciamo così - per i suoi tortelli di zucca che insaporiva con un tocco di cannella, mia madre che rubava i maltagliati crudi dal tavolo, poi le liti per l’ultimo piatto di lasagne! Ognuno aveva la sua preferita, ma alla fine erano stesse cose che ci legavano: il sapore della casa, del tempo che si ferma, della cura.
Oggi, ogni volta che assaporo un piatto di pasta fatto in casa, sento riaffiorare quei ricordi forti. È come se, attraverso quei gesti e quei sapori, potessi ancora rivivere l’abbraccio caldo della mia famiglia, la serenità di quelle domeniche pigre e lunghe, l’essenza stessa delle mie radici.
A casa di mia nonna, la pasta non era semplicemente un piatto di routine quotidiana: era un gesto sacrale, un’arte tramandata con riti precisi e densi di amore. La domenica mattina, prima ancora che la moka iniziasse a borbottare e il sole filtrasse timido tra le persiane, lei era già all’opera, le sue mani eleganti e sottili immerse in una fontana di farina, l’acqua aggiunta con la sapienza di chi conosce i segreti dell’impasto perfetto.
Ogni suo movimento era una danza precisa e silenziosa, un linguaggio antico che parlava di tradizione e dedizione. La sfoglia, stesa con cura, diventava tela su cui disegnare fettuccine, ravioli, lasagne; ogni formato un ricordo, ogni piega una storia.
Intorno al tavolo, la famiglia si riuniva, attratta dal profumo avvolgente del sugo che sobbolliva lentamente sul fornello. Le conversazioni si intrecciavano con grandi risate, i racconti di vita si mescolavano al tintinnio delle posate. In quel momento, la pasta diventava collante di affetti, simbolo tangibile di un amore che si esprimeva, anche, attraverso il cibo.
Era la scusa per riunire chi era lontano, per parlare, per ridere. Ricordo mio zio che tornava da Verona - quasi esclusivamente diciamo così - per i suoi tortelli di zucca che insaporiva con un tocco di cannella, mia madre che rubava i maltagliati crudi dal tavolo, poi le liti per l’ultimo piatto di lasagne! Ognuno aveva la sua preferita, ma alla fine erano stesse cose che ci legavano: il sapore della casa, del tempo che si ferma, della cura.
Oggi, ogni volta che assaporo un piatto di pasta fatto in casa, sento riaffiorare quei ricordi forti. È come se, attraverso quei gesti e quei sapori, potessi ancora rivivere l’abbraccio caldo della mia famiglia, la serenità di quelle domeniche pigre e lunghe, l’essenza stessa delle mie radici.
A casa di mia nonna, la pasta non era semplicemente un piatto di routine quotidiana: era un gesto sacrale, un’arte tramandata con riti precisi e densi di amore. La domenica mattina, prima ancora che la moka iniziasse a borbottare e il sole filtrasse timido tra le persiane, lei era già all’opera, le sue mani eleganti e sottili immerse in una fontana di farina, l’acqua aggiunta con la sapienza di chi conosce i segreti dell’impasto perfetto.
Ogni suo movimento era una danza precisa e silenziosa, un linguaggio antico che parlava di tradizione e dedizione. La sfoglia, stesa con cura, diventava tela su cui disegnare fettuccine, ravioli, lasagne; ogni formato un ricordo, ogni piega una storia.
Intorno al tavolo, la famiglia si riuniva, attratta dal profumo avvolgente del sugo che sobbolliva lentamente sul fornello. Le conversazioni si intrecciavano con grandi risate, i racconti di vita si mescolavano al tintinnio delle posate. In quel momento, la pasta diventava collante di affetti, simbolo tangibile di un amore che si esprimeva, anche, attraverso il cibo.
Era la scusa per riunire chi era lontano, per parlare, per ridere. Ricordo mio zio che tornava da Verona - quasi esclusivamente diciamo così - per i suoi tortelli di zucca che insaporiva con un tocco di cannella, mia madre che rubava i maltagliati crudi dal tavolo, poi le liti per l’ultimo piatto di lasagne! Ognuno aveva la sua preferita, ma alla fine erano stesse cose che ci legavano: il sapore della casa, del tempo che si ferma, della cura.
Oggi, ogni volta che assaporo un piatto di pasta fatto in casa, sento riaffiorare quei ricordi forti. È come se, attraverso quei gesti e quei sapori, potessi ancora rivivere l’abbraccio caldo della mia famiglia, la serenità di quelle domeniche pigre e lunghe, l’essenza stessa delle mie radici.