GEOGRAFIE DELLA PASTA

12 ott 2025

GEOGRAFIE DELLA PASTA

12 ott 2025

GEOGRAFIE DELLA PASTA

12 ott 2025

C’è una geografia segreta che la Lombardia custodisce nei suoi piatti di pasta: un arcipelago di forme e di storie che, come i dialetti, mutano appena si oltrepassa un fiume o si varca una collina.

Gli agnolini mantovani, figli della corte dei Gonzaga, compendiano carni scelte – manzo stufato nel vino, salamella, pancetta – insieme a pane, uova e noce moscata. Nel brodo di cappone si accendono di festa, e nel “sorbir d’agnoli il goccio di Lambrusco”, suggella il rito conviviale.

Le bardele coi marai, tagliatelle verdi di borragine, appartengono alle cucine contadine del Bresciano. L’erba, lessata e tritata, si fonde con farina e uova; burro fuso e Grana Padano bastano a esaltarne la gentile acidità erbacea.

I casoncelli si declinano in genealogie differenti. A Bergamo ripieno di carne, pane e formaggio, conditi da burro, salvia e pancetta croccante. A Barbariga, di magro, con pane e formaggio, espressione di cucina povera. A Pontoglio, più sontuosi, con carni stracotte e spezie rare come cannella e chiodi di garofano: traccia di una dispensa nobile.

I capunsei dell’Alto Mantovano sono gnocchi di pane allungati, fratelli austeri dei canederli tirolesi. Nascono dal recupero del pane raffermo, insaporito con Grana, burro e prezzemolo. Si consumano in brodo o asciutti, senza sprechi e senza sollecitudine.

Gli gnocchi di zucca, tipici del Mantovano, si sciolgono nella dolcezza della polpa autunnale cotta al forno. Burro e salvia li rivestono di semplicità fragrante, mentre un velo di pomodoro ne racconta la stagione povera ma generosa.

I marubini cremonesi nascondono un cuore sontuoso di brasato, pistöm (impasto del salame cremonese) e Grana, legato da uova e noce moscata. Il loro destino è un tuffo nel gustoso brodo triplo: manzo, gallina e salame da pentola, una sinfonia liquida che custodisce la memoria della Bassa.

I pizzoccheri, figli di Teglio e della Valtellina, hanno il colore grigio del grano saraceno. Patate, verza e formaggio Casera li avvolgono, mentre burro, aglio e salvia colano generosi, scolpendo un piatto che è inverno e montagna.

Gli scarpinòcc de Par, di Parre in Val Seriana, ricordano calzature contadine nella forma e nella sostanza. Ripieni senza carne, solo formaggio, pane, uova e spezie, si condiscono con burro e salvia: austerità che diventa festa ogni agosto nella sagra del paese.

Il tortello amaro di Castel Goffredo racchiude l’erba di San Pietro, dal sapore balsamico e amarognolo. Pane, Grana, aglio e cipolla completano il ripieno, che il burro fuso alla salvia accoglie con sobrietà. È piatto identitario, celebrato a giugno nella festa cittadina.

I tortelli cremaschi sono un ‘unicum’ rinascimentale: ripieno di amaretti e mostaccini, uva sultanina, cedro candito, mentine, Marsala e Grana. Cinque pizzicature li sigillano, e “in tavola annegano in burro e asciugano in formaggio”, secondo il detto indigeno.

I tortelli di zucca mantovani, i “turtèi de suca” amati da Isabella d’Este, coniugano dolcezza e spezia: zucca, amaretti e mostarda di mele intrecciati con Grana e noce moscata. Burro fuso e salvia li incoronano, dono natalizio della città dei Gonzaga.

Undici formati, undici racconti: un lessico familiare che la Lombardia continua a declinare a tavola, tra pianure e montagne, nella lingua antica della farina e della memoria.

C’è una geografia segreta che la Lombardia custodisce nei suoi piatti di pasta: un arcipelago di forme e di storie che, come i dialetti, mutano appena si oltrepassa un fiume o si varca una collina.

Gli agnolini mantovani, figli della corte dei Gonzaga, compendiano carni scelte – manzo stufato nel vino, salamella, pancetta – insieme a pane, uova e noce moscata. Nel brodo di cappone si accendono di festa, e nel “sorbir d’agnoli il goccio di Lambrusco”, suggella il rito conviviale.

Le bardele coi marai, tagliatelle verdi di borragine, appartengono alle cucine contadine del Bresciano. L’erba, lessata e tritata, si fonde con farina e uova; burro fuso e Grana Padano bastano a esaltarne la gentile acidità erbacea.

I casoncelli si declinano in genealogie differenti. A Bergamo ripieno di carne, pane e formaggio, conditi da burro, salvia e pancetta croccante. A Barbariga, di magro, con pane e formaggio, espressione di cucina povera. A Pontoglio, più sontuosi, con carni stracotte e spezie rare come cannella e chiodi di garofano: traccia di una dispensa nobile.

I capunsei dell’Alto Mantovano sono gnocchi di pane allungati, fratelli austeri dei canederli tirolesi. Nascono dal recupero del pane raffermo, insaporito con Grana, burro e prezzemolo. Si consumano in brodo o asciutti, senza sprechi e senza sollecitudine.

Gli gnocchi di zucca, tipici del Mantovano, si sciolgono nella dolcezza della polpa autunnale cotta al forno. Burro e salvia li rivestono di semplicità fragrante, mentre un velo di pomodoro ne racconta la stagione povera ma generosa.

I marubini cremonesi nascondono un cuore sontuoso di brasato, pistöm (impasto del salame cremonese) e Grana, legato da uova e noce moscata. Il loro destino è un tuffo nel gustoso brodo triplo: manzo, gallina e salame da pentola, una sinfonia liquida che custodisce la memoria della Bassa.

I pizzoccheri, figli di Teglio e della Valtellina, hanno il colore grigio del grano saraceno. Patate, verza e formaggio Casera li avvolgono, mentre burro, aglio e salvia colano generosi, scolpendo un piatto che è inverno e montagna.

Gli scarpinòcc de Par, di Parre in Val Seriana, ricordano calzature contadine nella forma e nella sostanza. Ripieni senza carne, solo formaggio, pane, uova e spezie, si condiscono con burro e salvia: austerità che diventa festa ogni agosto nella sagra del paese.

Il tortello amaro di Castel Goffredo racchiude l’erba di San Pietro, dal sapore balsamico e amarognolo. Pane, Grana, aglio e cipolla completano il ripieno, che il burro fuso alla salvia accoglie con sobrietà. È piatto identitario, celebrato a giugno nella festa cittadina.

I tortelli cremaschi sono un ‘unicum’ rinascimentale: ripieno di amaretti e mostaccini, uva sultanina, cedro candito, mentine, Marsala e Grana. Cinque pizzicature li sigillano, e “in tavola annegano in burro e asciugano in formaggio”, secondo il detto indigeno.

I tortelli di zucca mantovani, i “turtèi de suca” amati da Isabella d’Este, coniugano dolcezza e spezia: zucca, amaretti e mostarda di mele intrecciati con Grana e noce moscata. Burro fuso e salvia li incoronano, dono natalizio della città dei Gonzaga.

Undici formati, undici racconti: un lessico familiare che la Lombardia continua a declinare a tavola, tra pianure e montagne, nella lingua antica della farina e della memoria.

C’è una geografia segreta che la Lombardia custodisce nei suoi piatti di pasta: un arcipelago di forme e di storie che, come i dialetti, mutano appena si oltrepassa un fiume o si varca una collina.

Gli agnolini mantovani, figli della corte dei Gonzaga, compendiano carni scelte – manzo stufato nel vino, salamella, pancetta – insieme a pane, uova e noce moscata. Nel brodo di cappone si accendono di festa, e nel “sorbir d’agnoli il goccio di Lambrusco”, suggella il rito conviviale.

Le bardele coi marai, tagliatelle verdi di borragine, appartengono alle cucine contadine del Bresciano. L’erba, lessata e tritata, si fonde con farina e uova; burro fuso e Grana Padano bastano a esaltarne la gentile acidità erbacea.

I casoncelli si declinano in genealogie differenti. A Bergamo ripieno di carne, pane e formaggio, conditi da burro, salvia e pancetta croccante. A Barbariga, di magro, con pane e formaggio, espressione di cucina povera. A Pontoglio, più sontuosi, con carni stracotte e spezie rare come cannella e chiodi di garofano: traccia di una dispensa nobile.

I capunsei dell’Alto Mantovano sono gnocchi di pane allungati, fratelli austeri dei canederli tirolesi. Nascono dal recupero del pane raffermo, insaporito con Grana, burro e prezzemolo. Si consumano in brodo o asciutti, senza sprechi e senza sollecitudine.

Gli gnocchi di zucca, tipici del Mantovano, si sciolgono nella dolcezza della polpa autunnale cotta al forno. Burro e salvia li rivestono di semplicità fragrante, mentre un velo di pomodoro ne racconta la stagione povera ma generosa.

I marubini cremonesi nascondono un cuore sontuoso di brasato, pistöm (impasto del salame cremonese) e Grana, legato da uova e noce moscata. Il loro destino è un tuffo nel gustoso brodo triplo: manzo, gallina e salame da pentola, una sinfonia liquida che custodisce la memoria della Bassa.

I pizzoccheri, figli di Teglio e della Valtellina, hanno il colore grigio del grano saraceno. Patate, verza e formaggio Casera li avvolgono, mentre burro, aglio e salvia colano generosi, scolpendo un piatto che è inverno e montagna.

Gli scarpinòcc de Par, di Parre in Val Seriana, ricordano calzature contadine nella forma e nella sostanza. Ripieni senza carne, solo formaggio, pane, uova e spezie, si condiscono con burro e salvia: austerità che diventa festa ogni agosto nella sagra del paese.

Il tortello amaro di Castel Goffredo racchiude l’erba di San Pietro, dal sapore balsamico e amarognolo. Pane, Grana, aglio e cipolla completano il ripieno, che il burro fuso alla salvia accoglie con sobrietà. È piatto identitario, celebrato a giugno nella festa cittadina.

I tortelli cremaschi sono un ‘unicum’ rinascimentale: ripieno di amaretti e mostaccini, uva sultanina, cedro candito, mentine, Marsala e Grana. Cinque pizzicature li sigillano, e “in tavola annegano in burro e asciugano in formaggio”, secondo il detto indigeno.

I tortelli di zucca mantovani, i “turtèi de suca” amati da Isabella d’Este, coniugano dolcezza e spezia: zucca, amaretti e mostarda di mele intrecciati con Grana e noce moscata. Burro fuso e salvia li incoronano, dono natalizio della città dei Gonzaga.

Undici formati, undici racconti: un lessico familiare che la Lombardia continua a declinare a tavola, tra pianure e montagne, nella lingua antica della farina e della memoria.