
PASTA E PATATE
quando l’umiltà diventa fine dining
22/07/25

PASTA E PATATE
quando l’umiltà diventa fine dining
22/07/25

PASTA E PATATE
quando l’umiltà diventa fine dining
22/07/25
Le due anime di un piatto immortale secondo Michele De Blasio
Ci sono piatti che sembrano destinati a restare ancorati alle cucine di casa, ai fornelli domestici su cui borbottano pentole cariche di memoria. Pasta e patate è uno di questi: archetipo del conforto, della semplicità contadina che sa sfidare il tempo. Eppure, proprio quando la tradizione pare definitiva e intoccabile, accade che un gesto d’autore la riporti alla ribalta della grande cucina. Al Volta del Fuenti, luogo dove il paesaggio e il palato dialogano tra mare e montagna, Michele De Blasio offre una duplice lettura di questo caposaldo della cucina partenopea. E lo fa con la delicatezza e il rispetto di chi maneggia un’eredità viva.
La prima versione è un omaggio alla ritualità. La pasta cuoce insieme alle patate in un abbraccio denso, dove ogni tubero non si limita a cedere amido ma racconta la fatica e la pazienza dei campi. Il soffritto, prolungato con sapienza, diventa il preludio aromatico di un gusto che si fa stratificazione. La cremosità non è espediente tecnico, ma naturale conseguenza di un equilibrio antichissimo, mantecato con formaggi e insaporito da un brodo che raccoglie e sublima ogni nota. Qui, il prezzemolo e il basilico non sono vezzi decorativi, ma voci in un coro, indispensabili all’armonia del tutto.
La seconda proposta, più che una rivisitazione, è una riflessione: che cosa resta del piatto se ne alleggeriamo il carico calorico senza svilirne l’anima? De Blasio scommette sul prezzemolo, pianta spesso relegata ai margini del piatto, e lo trasfigura in protagonista assoluto. Il risultato è una sinfonia vegetale: burro di prezzemolo affumicato, sugo e perfino un cappuccino erbaceo che accarezza la base cremosa come un’onda lieve. Non più solo conforto: la pasta e patate si fa respiro verde, leggerezza tridimensionale, memoria che guarda avanti.
In entrambe le versioni si compie un piccolo miracolo della cucina contemporanea: il riscatto della semplicità, capace di salire i gradini della gastronomia d’autore senza perdere la propria voce originaria. Pasta e patate, dunque, come paradigma di un’Italia che sa rinnovarsi senza dimenticare. Un piatto che è, ancora una volta, racconto.
Le due anime di un piatto immortale secondo Michele De Blasio
Ci sono piatti che sembrano destinati a restare ancorati alle cucine di casa, ai fornelli domestici su cui borbottano pentole cariche di memoria. Pasta e patate è uno di questi: archetipo del conforto, della semplicità contadina che sa sfidare il tempo. Eppure, proprio quando la tradizione pare definitiva e intoccabile, accade che un gesto d’autore la riporti alla ribalta della grande cucina. Al Volta del Fuenti, luogo dove il paesaggio e il palato dialogano tra mare e montagna, Michele De Blasio offre una duplice lettura di questo caposaldo della cucina partenopea. E lo fa con la delicatezza e il rispetto di chi maneggia un’eredità viva.
La prima versione è un omaggio alla ritualità. La pasta cuoce insieme alle patate in un abbraccio denso, dove ogni tubero non si limita a cedere amido ma racconta la fatica e la pazienza dei campi. Il soffritto, prolungato con sapienza, diventa il preludio aromatico di un gusto che si fa stratificazione. La cremosità non è espediente tecnico, ma naturale conseguenza di un equilibrio antichissimo, mantecato con formaggi e insaporito da un brodo che raccoglie e sublima ogni nota. Qui, il prezzemolo e il basilico non sono vezzi decorativi, ma voci in un coro, indispensabili all’armonia del tutto.
La seconda proposta, più che una rivisitazione, è una riflessione: che cosa resta del piatto se ne alleggeriamo il carico calorico senza svilirne l’anima? De Blasio scommette sul prezzemolo, pianta spesso relegata ai margini del piatto, e lo trasfigura in protagonista assoluto. Il risultato è una sinfonia vegetale: burro di prezzemolo affumicato, sugo e perfino un cappuccino erbaceo che accarezza la base cremosa come un’onda lieve. Non più solo conforto: la pasta e patate si fa respiro verde, leggerezza tridimensionale, memoria che guarda avanti.
In entrambe le versioni si compie un piccolo miracolo della cucina contemporanea: il riscatto della semplicità, capace di salire i gradini della gastronomia d’autore senza perdere la propria voce originaria. Pasta e patate, dunque, come paradigma di un’Italia che sa rinnovarsi senza dimenticare. Un piatto che è, ancora una volta, racconto.
Le due anime di un piatto immortale secondo Michele De Blasio
Ci sono piatti che sembrano destinati a restare ancorati alle cucine di casa, ai fornelli domestici su cui borbottano pentole cariche di memoria. Pasta e patate è uno di questi: archetipo del conforto, della semplicità contadina che sa sfidare il tempo. Eppure, proprio quando la tradizione pare definitiva e intoccabile, accade che un gesto d’autore la riporti alla ribalta della grande cucina. Al Volta del Fuenti, luogo dove il paesaggio e il palato dialogano tra mare e montagna, Michele De Blasio offre una duplice lettura di questo caposaldo della cucina partenopea. E lo fa con la delicatezza e il rispetto di chi maneggia un’eredità viva.
La prima versione è un omaggio alla ritualità. La pasta cuoce insieme alle patate in un abbraccio denso, dove ogni tubero non si limita a cedere amido ma racconta la fatica e la pazienza dei campi. Il soffritto, prolungato con sapienza, diventa il preludio aromatico di un gusto che si fa stratificazione. La cremosità non è espediente tecnico, ma naturale conseguenza di un equilibrio antichissimo, mantecato con formaggi e insaporito da un brodo che raccoglie e sublima ogni nota. Qui, il prezzemolo e il basilico non sono vezzi decorativi, ma voci in un coro, indispensabili all’armonia del tutto.
La seconda proposta, più che una rivisitazione, è una riflessione: che cosa resta del piatto se ne alleggeriamo il carico calorico senza svilirne l’anima? De Blasio scommette sul prezzemolo, pianta spesso relegata ai margini del piatto, e lo trasfigura in protagonista assoluto. Il risultato è una sinfonia vegetale: burro di prezzemolo affumicato, sugo e perfino un cappuccino erbaceo che accarezza la base cremosa come un’onda lieve. Non più solo conforto: la pasta e patate si fa respiro verde, leggerezza tridimensionale, memoria che guarda avanti.
In entrambe le versioni si compie un piccolo miracolo della cucina contemporanea: il riscatto della semplicità, capace di salire i gradini della gastronomia d’autore senza perdere la propria voce originaria. Pasta e patate, dunque, come paradigma di un’Italia che sa rinnovarsi senza dimenticare. Un piatto che è, ancora una volta, racconto.