
PASTA PROFUMO DI DONNA
Storie di pastarelle, impastatrici e imprenditrici
27 ago 2025

PASTA PROFUMO DI DONNA
Storie di pastarelle, impastatrici e imprenditrici
27 ago 2025

PASTA PROFUMO DI DONNA
Storie di pastarelle, impastatrici e imprenditrici
27 ago 2025
In certe cucine il tempo non passa: lievita. Fermenta nel silenzio tiepido delle case, si fa sapere custodito, gesto tramandato. E quasi sempre, a vegliare su quel tempo trasformativo, ci sono mani di donna. La pasta, simbolo universale dell’Italia a tavola, è anche — e forse soprattutto — una narrazione femminile. Lo è stata nei focolari, nelle botteghe, nei cortili assolati. Lo è oggi nelle imprese che guardano al futuro con fermezza e visione.
Secondo i dati CNA Impresa Donna, nel settore alimentare artigianale cresce la presenza femminile, in particolare nell’ambito della pasta fresca e secca. Le donne aprono laboratori, rilanciano pastifici, fondano micro-aziende sostenibili. Spesso partendo da una ricetta ereditata, trasformano un sapere intimo in impresa collettiva.
È il caso di realtà come Le Sfogline a Bologna — fondata nel 1996 da Renata Zappoli e oggi portata avanti dalle sue figlie — dove la sfoglia emiliana continua a essere tirata a mano con rigore scientifico e tanta poesia. O della scena quotidiana a Bari Vecchia, dove giovani e anziane, chine sui tavoli, intrecciano orecchiette come in un rito. O ancora del Pastificio Agricolo Mancini, dove figure femminili guidano le scelte cerealicole con rigore etico e agronomico.
Ogni formato regionale — dallo strascinato pugliese alle poetiche lorighittas sarde — è figlio di una trasmissione orale prevalentemente miuliebre. Le “pastarelle”, donne che un tempo impastavano per conto terzi nei quartieri popolari, sono state a lungo ponti tra l’economia sommersa e il patrimonio culturale. Una memoria fragile, da salvare prima che svanisca nel silenzio.
In questo, il lavoro di realtà come Slow Food e degli archivi etnografici locali si fa essenziale: dare dignità a un sapere che ha fatto più per l’identità italiana di molte leggi.
Fare pasta, per molte donne, è stato un atto di indipendenza. Trasformare ingredienti umili in valore economico e relazionale; ritagliarsi uno spazio creativo in contesti dove il lavoro femminile era, ed è, invisibile.
Oggi, nuove generazioni di chef, artigiane e divulgatrici stanno riscrivendo il racconto. Cristina Bowerman, chef stellata e voce lucida sulla parità nella ristorazione. E donne come Paola Abraini, che a Morgongiori, in Sardegna, continua a insegnare l’arte delle lorighittas, affinché non si perda tra le pieghe del tempo.
Dietro ogni impasto c’è un gesto generoso. Ma anche un futuro. E questo futuro, tra innovazione, ritorno alla terra e filiera corta, sussurra anche — e finalmente — con voce di donna.
In certe cucine il tempo non passa: lievita. Fermenta nel silenzio tiepido delle case, si fa sapere custodito, gesto tramandato. E quasi sempre, a vegliare su quel tempo trasformativo, ci sono mani di donna. La pasta, simbolo universale dell’Italia a tavola, è anche — e forse soprattutto — una narrazione femminile. Lo è stata nei focolari, nelle botteghe, nei cortili assolati. Lo è oggi nelle imprese che guardano al futuro con fermezza e visione.
Secondo i dati CNA Impresa Donna, nel settore alimentare artigianale cresce la presenza femminile, in particolare nell’ambito della pasta fresca e secca. Le donne aprono laboratori, rilanciano pastifici, fondano micro-aziende sostenibili. Spesso partendo da una ricetta ereditata, trasformano un sapere intimo in impresa collettiva.
È il caso di realtà come Le Sfogline a Bologna — fondata nel 1996 da Renata Zappoli e oggi portata avanti dalle sue figlie — dove la sfoglia emiliana continua a essere tirata a mano con rigore scientifico e tanta poesia. O della scena quotidiana a Bari Vecchia, dove giovani e anziane, chine sui tavoli, intrecciano orecchiette come in un rito. O ancora del Pastificio Agricolo Mancini, dove figure femminili guidano le scelte cerealicole con rigore etico e agronomico.
Ogni formato regionale — dallo strascinato pugliese alle poetiche lorighittas sarde — è figlio di una trasmissione orale prevalentemente miuliebre. Le “pastarelle”, donne che un tempo impastavano per conto terzi nei quartieri popolari, sono state a lungo ponti tra l’economia sommersa e il patrimonio culturale. Una memoria fragile, da salvare prima che svanisca nel silenzio.
In questo, il lavoro di realtà come Slow Food e degli archivi etnografici locali si fa essenziale: dare dignità a un sapere che ha fatto più per l’identità italiana di molte leggi.
Fare pasta, per molte donne, è stato un atto di indipendenza. Trasformare ingredienti umili in valore economico e relazionale; ritagliarsi uno spazio creativo in contesti dove il lavoro femminile era, ed è, invisibile.
Oggi, nuove generazioni di chef, artigiane e divulgatrici stanno riscrivendo il racconto. Cristina Bowerman, chef stellata e voce lucida sulla parità nella ristorazione. E donne come Paola Abraini, che a Morgongiori, in Sardegna, continua a insegnare l’arte delle lorighittas, affinché non si perda tra le pieghe del tempo.
Dietro ogni impasto c’è un gesto generoso. Ma anche un futuro. E questo futuro, tra innovazione, ritorno alla terra e filiera corta, sussurra anche — e finalmente — con voce di donna.
In certe cucine il tempo non passa: lievita. Fermenta nel silenzio tiepido delle case, si fa sapere custodito, gesto tramandato. E quasi sempre, a vegliare su quel tempo trasformativo, ci sono mani di donna. La pasta, simbolo universale dell’Italia a tavola, è anche — e forse soprattutto — una narrazione femminile. Lo è stata nei focolari, nelle botteghe, nei cortili assolati. Lo è oggi nelle imprese che guardano al futuro con fermezza e visione.
Secondo i dati CNA Impresa Donna, nel settore alimentare artigianale cresce la presenza femminile, in particolare nell’ambito della pasta fresca e secca. Le donne aprono laboratori, rilanciano pastifici, fondano micro-aziende sostenibili. Spesso partendo da una ricetta ereditata, trasformano un sapere intimo in impresa collettiva.
È il caso di realtà come Le Sfogline a Bologna — fondata nel 1996 da Renata Zappoli e oggi portata avanti dalle sue figlie — dove la sfoglia emiliana continua a essere tirata a mano con rigore scientifico e tanta poesia. O della scena quotidiana a Bari Vecchia, dove giovani e anziane, chine sui tavoli, intrecciano orecchiette come in un rito. O ancora del Pastificio Agricolo Mancini, dove figure femminili guidano le scelte cerealicole con rigore etico e agronomico.
Ogni formato regionale — dallo strascinato pugliese alle poetiche lorighittas sarde — è figlio di una trasmissione orale prevalentemente miuliebre. Le “pastarelle”, donne che un tempo impastavano per conto terzi nei quartieri popolari, sono state a lungo ponti tra l’economia sommersa e il patrimonio culturale. Una memoria fragile, da salvare prima che svanisca nel silenzio.
In questo, il lavoro di realtà come Slow Food e degli archivi etnografici locali si fa essenziale: dare dignità a un sapere che ha fatto più per l’identità italiana di molte leggi.
Fare pasta, per molte donne, è stato un atto di indipendenza. Trasformare ingredienti umili in valore economico e relazionale; ritagliarsi uno spazio creativo in contesti dove il lavoro femminile era, ed è, invisibile.
Oggi, nuove generazioni di chef, artigiane e divulgatrici stanno riscrivendo il racconto. Cristina Bowerman, chef stellata e voce lucida sulla parità nella ristorazione. E donne come Paola Abraini, che a Morgongiori, in Sardegna, continua a insegnare l’arte delle lorighittas, affinché non si perda tra le pieghe del tempo.
Dietro ogni impasto c’è un gesto generoso. Ma anche un futuro. E questo futuro, tra innovazione, ritorno alla terra e filiera corta, sussurra anche — e finalmente — con voce di donna.