PASTA: UN DIALOGO MULTISENSORIALE

1 giu 2025

PASTA: UN DIALOGO MULTISENSORIALE

1 giu 2025

PASTA: UN DIALOGO MULTISENSORIALE

1 giu 2025

Esiste un momento, in cucina, in cui le mani sanno essere eloquio più delle stesse parole, come l’istante in cui le dita affondano nella farina nivea e setosa, in cui il palmo tiepido incontra e raccoglie l’umidità viscosa delle uova fresche, mentre l’impasto inizia a prendere forma. Fare la pasta è una questione tattile, una conversazione tra epidermide e materia, tra esperienza e intuizione creativa. Perché la pasta si sente! Troppo asciutta? Le dita lo comprendono ancor prima degli occhi. Troppo morbida? Il polso ne avverte la cedevolezza ben prima che la mente lo elabori. È una scienza imperfetta – alleluia - fatta di millimetri, di granelli invisibili, di tensione e spinta e ritmo tra palmo e polso, tra pollice e indice. Impastare è un atto di fiducia nelle proprie capacità, a volte nell’istinto ereditato e ricevuto da gesti antichi, o appreso di recente, ma sempre garantito da un entusiasmo appassionato.

Poi arriva il momento di spianare la pasta. Il mattarello rulla, scivola e fa il suo lavoro, ma sono i polpastrelli ad avvertirne lo spessore, a capire se è il momento giusto per fermarsi lì. Una sfoglia troppo spessa renderà il morso tenace e ostile alla masticazione, una troppo sottile invece cederà, senza pietà, in cottura. È un balletto multisensoriale perfetto tra forza e delicatezza, tra pressione e rilascio, tra contatto e ascolto palpabile, ancor prima che visivo.

E quando la pasta prende vita — scolpita dalle mani, distesa come un festante telo di lino ad asciugare - resta solo il gesto finale: il vapore che si solleva nell’abbraccio dell’acqua bollente, e quel passaggio lieve tra le dita, prima che si immerga in una nuova fluida esistenza…

Esiste un momento, in cucina, in cui le mani sanno essere eloquio più delle stesse parole, come l’istante in cui le dita affondano nella farina nivea e setosa, in cui il palmo tiepido incontra e raccoglie l’umidità viscosa delle uova fresche, mentre l’impasto inizia a prendere forma. Fare la pasta è una questione tattile, una conversazione tra epidermide e materia, tra esperienza e intuizione creativa. Perché la pasta si sente! Troppo asciutta? Le dita lo comprendono ancor prima degli occhi. Troppo morbida? Il polso ne avverte la cedevolezza ben prima che la mente lo elabori. È una scienza imperfetta – alleluia - fatta di millimetri, di granelli invisibili, di tensione e spinta e ritmo tra palmo e polso, tra pollice e indice. Impastare è un atto di fiducia nelle proprie capacità, a volte nell’istinto ereditato e ricevuto da gesti antichi, o appreso di recente, ma sempre garantito da un entusiasmo appassionato.

Poi arriva il momento di spianare la pasta. Il mattarello rulla, scivola e fa il suo lavoro, ma sono i polpastrelli ad avvertirne lo spessore, a capire se è il momento giusto per fermarsi lì. Una sfoglia troppo spessa renderà il morso tenace e ostile alla masticazione, una troppo sottile invece cederà, senza pietà, in cottura. È un balletto multisensoriale perfetto tra forza e delicatezza, tra pressione e rilascio, tra contatto e ascolto palpabile, ancor prima che visivo.

E quando la pasta prende vita — scolpita dalle mani, distesa come un festante telo di lino ad asciugare - resta solo il gesto finale: il vapore che si solleva nell’abbraccio dell’acqua bollente, e quel passaggio lieve tra le dita, prima che si immerga in una nuova fluida esistenza…

Esiste un momento, in cucina, in cui le mani sanno essere eloquio più delle stesse parole, come l’istante in cui le dita affondano nella farina nivea e setosa, in cui il palmo tiepido incontra e raccoglie l’umidità viscosa delle uova fresche, mentre l’impasto inizia a prendere forma. Fare la pasta è una questione tattile, una conversazione tra epidermide e materia, tra esperienza e intuizione creativa. Perché la pasta si sente! Troppo asciutta? Le dita lo comprendono ancor prima degli occhi. Troppo morbida? Il polso ne avverte la cedevolezza ben prima che la mente lo elabori. È una scienza imperfetta – alleluia - fatta di millimetri, di granelli invisibili, di tensione e spinta e ritmo tra palmo e polso, tra pollice e indice. Impastare è un atto di fiducia nelle proprie capacità, a volte nell’istinto ereditato e ricevuto da gesti antichi, o appreso di recente, ma sempre garantito da un entusiasmo appassionato.

Poi arriva il momento di spianare la pasta. Il mattarello rulla, scivola e fa il suo lavoro, ma sono i polpastrelli ad avvertirne lo spessore, a capire se è il momento giusto per fermarsi lì. Una sfoglia troppo spessa renderà il morso tenace e ostile alla masticazione, una troppo sottile invece cederà, senza pietà, in cottura. È un balletto multisensoriale perfetto tra forza e delicatezza, tra pressione e rilascio, tra contatto e ascolto palpabile, ancor prima che visivo.

E quando la pasta prende vita — scolpita dalle mani, distesa come un festante telo di lino ad asciugare - resta solo il gesto finale: il vapore che si solleva nell’abbraccio dell’acqua bollente, e quel passaggio lieve tra le dita, prima che si immerga in una nuova fluida esistenza…